venerdì 15 maggio 2015
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Da fuori, l’ex Arsenale militare conserva l’aspetto di una fabbrica ottocentesca. Qui vennero fabbricati i cannoni per la Prima guerra mondiale. Qui di fronte si sperimentò la micidiale iprite. Migliaia di fucili uscirono da queste officine, verso le trincee. E nella memoria scritta in questi mattoni, cento anni dopo, colpisce la festosità di oggi, in piazza Borgo Dora. Nella folla che aspetta il presidente della Repubblica ci sono ragazzi italiani e stranieri, di Paesi molto lontani. Qui al Sermig, pensi guardandoli, sembra quasi che il mondo, in questi cent’anni, sia cambiato. Il Presidente è al Sermig nella prima Giornata del perdono, nell’anniversario del 12 maggio 1964, quando Ernesto Olivero, allora 24enne, con sua moglie e degli amici diede vita a un gruppo missionario. Nel 1983 Olivero ottiene in comodato il vecchio Arsenale. È un rudere: in questi anni, con l’aiuto di migliaia di volontari, è diventato una grande casa nel cuore di Torino, con la porta sempre aperta. 24 ore su 24. A qualsiasi ora bussa un senzatetto, o uno straniero. Da qui sono partiti aiuti umanitari per i più lontani e disperati Paesi; e si offrono ogni giorno pasti, posti letto, e formazione al lavoro e amicizia ai giovani, che a Olivero sono particolarmente cari. È nata la Fraternità della Speranza – cento amici, laici e consacrati. Si fa oratorio e doposcuola per i bambini di Borgo Dora, quartiere pieno di immigrati. Tutto con il sostegno di migliaia di amici e volontari. Nei padiglioni dell’ex Arsenale attraverso cui Mattarella viene condotto, pare quasi di vedere un miracolo. Tra i mattoni delle vecchie officine spiccano negli angoli, gigantesche, nere, le presse e le macchine con cui si fabbricavano i cannoni. Fanno paura ancora, a guardarle. Che in una fabbrica di morte sia nata una casa come questa, e che ora ci studino l’italiano gli immigrati, ci alloggino i profughi, è straordinario.  La prima cosa, ci raccontano, che Olivero ricavò dalla fabbrica in rovina fu una cappella: «Ci occorre un motore», disse: e un vecchio forno divenne il tabernacolo, e i piani di lavoro degli operai, un altare. Un Cristo di legno giace su un bancale, dove venivano forgiati i fucili. La guerra, non è stata censurata all’Arsenale: rimane nei suoi segni, perché gli uomini ricordino. Ma oggi, nel giardino giocano bambini italiani o con la pelle scura. Sembra che le loro voci sfiorino le grosse presse d’acciaio, e di questo posto riscattino la memoria.  L’idea della Giornata del perdono è venuta a Olivero a L’Aquila, dopo il terremoto dove il Sermig era andato a portare aiuti. La Chiesa della città regalò all’associazione una campana che è stata chiamata 'campana del perdono'; e che ieri ha suonato all’Arsenale, per la prima volta, in un’aula gremita di ragazzi. La prima intenzione espressa è stata quella del Presidente: «Perché il potere sia sempre una occasione di servizio». Poi, il vescovo di Torino, Nosiglia: «Perchè nessuno venga più ucciso nel nome di Dio». A Mattarella, Olivero racconta le emergenze che premono ora all’Arsenale, dei profughi che sfidano il mare e arrivano qui. E dice di una sua speranza: «Presidente, vorremmo condividere con lei un sogno di riconciliazione per l’Italia e il mondo. Chiedere perdono per quando non siamo stati all’altezza, per quando politica, religione, economia hanno tradito se stesse. Vorremmo una riconciliazione che entri nella nostra carne, nella nostra vita».  La parola ora va ai ragazzi: «Presidente, lei ha conosciuto il dolore nella sua vita, ci dica come ha fatto a non farsene bloccare». «Presidente, ci dica come si fa, tra tanto male, a sperare». Mattarella risponde volentieri a queste domande importanti. Ricorda che l’istinto di chi ha subito una ferita è, dapprima, la violenza, ma che questa strada non porta da nessuna parte. Gli chiedono, i ragazzi, come si combatte la corruzione, e lui spiega che si comincia prima di tutto da se stessi. Nadir, Shalik, Farouk si chiamano questi ragazzi venuti da lontano. Mattarella ricorda che la questione della immigrazione è epocale, e che l’Europa deve accogliere, ed essere all’altezza della sua civiltà. Il messaggio del Presidente ai ragazzi nel vecchio Arsenale dei Savoia parla però anche di perdono. Che non è cosa da deboli, dice, «ma invece è prova di grande forza interiore. Il perdono non cancella la memoria, ma permette la riconciliazione. E la riconciliazione costruisce sulle macerie: come è stato fatto qui». E guardi queste vecchie macchine mostruose dell’Arsenale, e per un istante in un video ne hai sentito anche il terribile frastuono, quando mille uomini fabbricavano cannoni. E pensi che è davvero singolare cosa sono riusciti a fare qui dentro, quelli che all’inizio erano un pugno di cristiani.
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