martedì 1 agosto 2017
Polacca, ha tutti i requisiti ma non è cittadina
Il sogno infranto di un bando al Ministero
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Ania Tarasiewicz, 27 anni, ha vissuto più della metà della sua vita in Italia, il paese del suo presente e in cui immagina il futuro. La Polonia, dove ha vissuto fino a 11 anni, è invece il luogo delle origini: «Non vanno rinnegate – dice – e anzi continuano a condizionarmi, ma "casa mia" è l’Italia». "Là" ha vissuto l’infanzia con la nonna, mentre la madre lavorava già come badante nel Belpaese. "Qui", nello specifico a Frosinone, ha fatto medie, superiori, laurea triennale e quella specialistica (Comunicazione a Tor Vergata). Finita l’università, sta facendo un tirocinio presso un’agenzia di ricerca grazie a un progetto della Regione Lazio. Per lo Stato Ania è straniera: «Avevo visto un bando per una posizione amministrativa – racconta – al Ministero dell’Interno. Possedevo tutti i requisiti, ma senza cittadinanza non ho potuto concorrere». Eppure per lei, che è polacca e quindi comunitaria, l’ottenimento dovrebbe essere più semplice: 5 anni di residenza continuativa (più i tempi burocratici - di solito anni - per la risposta). «Occorre – spiega – anche dimostrare per un triennio, non cumulativo e senza interruzioni, un reddito di 8.500 euro l’anno». Ania, come molti coetanei, non li guadagna: «Per lo stage ricevo 420 euro al mese, in precedenza facevo lavoretti da studente come cameriera nel weekend o baby sitter». Continua: «Diamo la cittadinanza ai miliardari, ai calciatori e a chi se lo può permettere, ma la si nega a chi si è impegnato nello studio, nel fare volontariato e nel mettersi al servizio del Paese». E si chiede: «Quali sono i criteri su cui basare l’italianità? La si compra o la si apprende sui banchi di scuola?».

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