venerdì 27 settembre 2013
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Più che una crisi politica, mi sembra una crisi di nervi...». Vista da fuori, a Giuseppe Roma, direttore generale del Censis, cioè del più importante osservatorio sociale del Paese, la fibrillazione politica del momento appare così: «Quasi più un problema psichico che non realmente politico».Perché, la minaccia dei deputati di dimettersi in massa non è un atto politico?Confesso di fare molta fatica a comprenderlo. Tecnicamente, le dimissioni di un parlamentare danno luogo a un lungo iter di esami e votazioni da parte del Parlamento. E, alla fine, subentra il primo dei non-eletti. Come strumento di azione politica le dimissioni di massa non mi paiono funzionali, perché non c’è nulla di cambiato nel quadro politico. È rimasto lo stesso di quello formatosi nel dopo-elezioni, per il quale si è arrivati a formare il governo delle larghe intese. Non c’è quindi alcuna ragione razionale, oggi, per rompere il delicato equilibrio raggiunto. Non ci sono sbocchi politici diversi che appaiano praticabili.E in questo momento possiamo permetterci una crisi di governo?Direi proprio di no. Stiamo già vivendo una crisi economica pesantissima, una crisi di credibilità della politica e purtroppo perfino delle istituzioni. Da ultimo una crisi di identità, come dimostrano le vicende della conquista di Telecom da parte degli spagnoli e di Alitalia da parte dei francesi. Vogliamo aggravare la situazione con l’instabilità politica?Pensa che i cittadini si appassionino a questa lotta politica, che effettivamente sentano, ad esempio, l’esigenza di intervenire subito sulla magistratura, di riformare la Giustizia, come chiede il Pdl, o siano preoccupati per altre priorità?I cittadini sentono certamente il problema dell’amministrazione della Giustizia, in quanto ne subiscono le inefficienze e le lungaggini, che hanno costi sia economici sia sociali. Ma è una questione di lungo periodo, la differenza di percezione rispetto al passato sta solo in alcune vicende personali vissute così intensamente. Sì, nel Paese ci sono gli appassionati, direi due tifoserie che, da una parte e dall’altra, si riconoscono in un certo modo di fare lotta politica. Si tratta però di minoranze, davvero limitate. La grandissima parte dei cittadini – al di là delle singole scelte elettorali – in questo momento si percepisce come uno spettatore impotente. Ed è consapevole di essere "indifeso" rispetto a un gioco pericoloso, che rischia di finire interamente a suo danno.E dall’estero? Capiranno ciò che accade nella politica italiana o si rafforzeranno nell’idea che siamo un Paese ingovernabile e barocco?Sa qual è la differenza tra la nostra politica e quella negli altri Paesi europei? L’atteggiamento con cui si affrontano le difficoltà. Perché anche in Germania c’è una difficoltà a formare il governo o in Francia l’alternanza destra/sinistra porta a governare una forza che in realtà non ha una vera maggioranza nel Paese e la rappresentanza è decisamente imperfetta. Ma all’estero la politica conserva un atteggiamento di lucidità nell’affrontare i problemi. Da noi, no. Per (forse) risolvere un problema se ne aprono minimo altri due, come dimostra da ultimo questo annuncio di dimissioni di massa.È solo una questione di scarso pragmatismo oppure manca anche altro?Certo difetta uno sguardo "largo", capace di andare oltre gli interessi particolari. La nostra politica è ancora troppo rivolta al passato, preda di egoismi e incapace di mettere al centro dell’azione quanto sarebbe utile e necessario per le generazioni più giovani, un progetto di futuro. E questo purtroppo finisce per deprimere e bloccare l’intero Paese. Quando invece servirebbe quello che Sant’Agostino chiamava un motus animi, qualcosa capace di muovere le passioni dei cittadini per un obiettivo di bene comune.

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