giovedì 16 giugno 2022
Il testo approvato con 173 sì, 37 no e 16 astenuti
Il Senato dice sì a Cartabia, la riforma del Csm è legge

Ansa

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Dopo mesi di tensioni politiche, di estenuanti trattative, di strappi e ricuciture in maggioranza e dopo il flop dei 5 referendum sulla giustizia, alla fine la riforma Cartabia è diventata legge. All’approvazione di aprile alla Camera, ieri mattina è seguita quella del Senato, che ha varato il pacchetto di norme sul Csm e sull’ordinamento giudiziario con 173 sì, 37 no (Fdi, Cal e Italexit) e 16 astenuti (fra cui i senatori di Italia Viva e 5 leghisti, mentre il resto del Carroccio, compresi Matteo Salvini e Giulia Bongiorno, ha votato sì). La soddisfazione del governo, anche per aver evitato la fiducia, è racchiusa nelle parole della Guardasigilli Marta Cartabia, lieta per l’approvazione di «un provvedimento preceduto da un lungo lavoro, non semplice, portato avanti con il contributo di molti... Solo pochi mesi fa le Camere rispondevano con un lungo applauso all'appello del presidente
Matterella che sollecitava l'approvazione di questa riforma... Oggi siamo qui per mantenere l'impegno».
In quelle considerazioni (anche se poi la ministra ha ringraziato «ciascuna forza politica per l’impegno») c’è chi ha intravisto la fatica, sua e del premier Mario Draghi, di dover portare a dama una riforma auspicata anche dal Quirinale, ma osteggiata a più riprese (ancora l’altro ieri, la Lega ha giocato la carta del voto segreto su un emendamento) e ritenuta da alcuni una soluzione compromissoria. Eppure, in quei 43 articoli si affrontano nodi cruciali (come le "porte girevoli" fra toghe e politica o il limite al passaggio di funzioni), in una fase in cui la magistratura cerca di ricostruire la credibilità intaccata dall’eco del caso Palamara. «È un passaggio importante nella storia del Paese, in cui troppo a lungo la giustizia è stata terreno di scontro», considera Cartabia, e rappresenta «il terzo grande pilastro delle riforme della giustizia» (dopo quella penale e quella civile) che puntano a «rinsaldare la fiducia dei cittadini» e a consentire che l’imminente rinnovo del Csm «si svolga con nuove regole».

Un punto che preme al vicepresidente dello stesso Csm David Ermini: «Ora si può andare serenamente al rinnovo del consiglio» previsto a settembre, osserva, pur ammettendo che «non è certo una riforma epocale, ma un buon compromesso». A Palazzo dei marescialli c’è però chi la pensa diversamente: «È una pagina molto triste per la giustizia in questo Paese – dichiara il consigliere del Csm, Nino Di Matteo –. I cittadini devono seriamente preoccuparsi». Di «forte delusione» parla il presidente dell’Anm, Giuseppe Santalucia, lamentando la «scarsa attenzione ai profili costituzionali» di norme che «mettono a rischio l’indipendenza interna dei magistrati». Per l’avvocatura, è la presidente del Consiglio nazionale forense Maria Masi a ammettere pragmaticamente che, «se non è la migliore possibile», la riforma è «certamente un passo avanti».



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I PUNTI CRUCIALI DEL TESTO

Con l’approvazione definitiva della riforma Cartabia, la composizione del Csm cambierà: dagli attuali 16, i consiglieri togati saliranno a 20 (ripartiti tra 2 magistrati di legittimità, come quelli di Cassazione; 5 pm e 13 giudici); i membri laici (giuristi indicati dal Parlamento) da 8 a 10. E arriveranno altre novità. Vediamo quali.

BINOMINALE MAGGIORITARIO

Nasce un sistema elettorale misto, un "binominale maggioritario", con una quota proporzionale (che servirà a eleggere 5 dei 13 giudici di merito). Niente liste: solo candidature individuali, senza firme di sostegno. In ogni collegio binominale saranno necessari almeno 6 candidati (metà del genere meno rappresentato). In mancanza di questi, si procederà a un sorteggio.

BASTA CON LE NOMINE "A PACCHETTO"

Gli incarichi direttivi non saranno più decisi dal Csm in modo cumulativo, per scongiurare accordi sotterranei e spartitori tra le correnti dei magistrati. Si procederà in base all’ordine cronologico delle scoperture dei posti, con audizioni dei candidati e pubblicazione di curricula e atti. Chi fa parte della sezione disciplinare non potrà sedere nella commissione che valuta le nomine, né in quelle che vagliano i trasferimenti.

UN SOLO PASSAGGIO DA GIUDICE A PM

Da 4 passaggi di funzione (da giudice a pm e viceversa) durante la carriera di un magistrato, ora ne sarà consentito solo uno, entro 10 anni dall’assegnazione della prima sede.

STOP ALLE PORTE GIREVOLI FRA TOGHE E POLITICA

I magistrati con incarichi elettivi o di governo dovranno obbligatoriamente andare in aspettativa. Terminato il mandato politico, non potranno più reindossare la toga, ma verranno collocati fuori ruolo presso il ministero di appartenenza, al Massimario della Cassazione o in sezioni del Consiglio di Stato o della Corte dei Conti. Anche i non eletti per 3 anni non potranno esercitare nella regione in cui sono stati candidati e nemmeno operare come capi di un ufficio giudiziario, pm, gip o gup.

GIRO DI VITE SUL "FUORI RUOLO"

Scenderà il tetto massimo dei magistrati distaccati in altri enti (oggi 200). E si potrà andare fuori ruolo solo dopo 10 anni di lavoro sul campo e al massimo per 7 anni (estesi a 10 per distacchi presso organi costituzionali e di governo).




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