giovedì 21 novembre 2013
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«I processi su frane e alluvioni sono tecnicamente difficilis­simi, dieci volte più compli­cati dei processi di mafia, soprattutto per le importanti problematiche rico­struttive dei fatti. Così molto spesso si finisce con un’archiviazione. Ma van­no fatti, anche per dare delle risposte ai familiari delle vittime».
A parlare è il procuratore di Vibo Valentia, Mario Spagnuolo, un «vero esperto» di pro­cessi sul dissesto idrogeologico, come sottolinea lui stesso. Quando era in procura a Catanzaro fu lui a seguire l’inchiesta sul disastro di Soverato, «u­na delle pochissime in Italia con sen­tenza definitiva di condanna», mentre a Vibo sta per iniziare il processo per l’alluvione del 2006 ed è in chiusura anche l’indagine per la gigantesca fra­na di Maierato che, spiega il magistra­to, «non fece morti solo perché in quel­la zona non c’erano abitazioni ma che è talmente importante che vengono fin dal Giappone per studiarla».
Il procu­ratore, proprio dall’alto di questa sua esperienza, ha le idee molto chiare sul­le responsabilità di questi fatti. «È la totale assenza di una cultura di tutela del territorio. Chi costruisce lo fa solo per realizzare l’opera e del resto non si preoccupa minimamente. E quando questo interagisce con un territorio geologicamente fragile accade il disastro. Non c’è un ef­ficiente sistema di regimentazio­ne delle acque ma solo vecchi fos­si, spesso occlusi da detriti o quant’altro. E così l’acqua esce, allaga e fa disastri». Procuratore perché queste inchieste sono così difficili? Perché è difficile accertare le respon­sabilità. Le faccio l’esempio di Sovera­to. Allora scelsi i migliori consulenti i­draulici a livello nazionale. E lì, in fon­do, era più facile perché saltava agli oc­chi che il camping era stato costruito nell’alveo del fiume. 
E cosa era difficile? Il problema era capire in primo luogo chi avesse dato la concessione per co­struirlo. Poi se c’e­ra stato un ritardo nei soccorsi e se questo ritardo era stato causa delle morti. Per questo fu fondamentale l’autopsia. Indagini molto co­stose, dunque, e forse non tutte le procure se lo pos­sono permettere... Per l’accertamento della verità non dovremmo mai a­vere limiti econo­mici. Soprattutto per casi così dram­matici. Ci sono rischi di prescrizione? Non ci dovrebbero essere perché per reati come disa­stro colposo e o­micidio colposo la prescrizione si raddoppia arri­vando fino a 15 anni. Ma i processi vanno per le lun­ghe, non si fanno bene le indagini e si corrono rischi ugualmente. Come il processo per l’alluvione di Sarno che, col rinvio della Cassazione, stava per finire in prescrizione.
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