martedì 2 settembre 2014
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I sacerdoti vanno bene fino a quando si fanno i fatti propri, quando impartiscono battesimi e comunioni, quando non si impicciano degli affari degli altri. Altrimenti diventano “sbirri”, “disgraziati”, individui da eliminare con qualsiasi mezzo, malgrado l’abito che indossano. Se ce ne fosse ancora bisogno, sono coloro che hanno coperto i posti di comando di Cosa nostra a confermare che la mafia è ontologicamente antievangelica, anche quando si ammanta di oggetti della religiosità popolare. Perché quei boss sanguinari trovati con santini e rosari sul comodino hanno dichiarato guerra alla Chiesa e alla Parola di Cristo.  I contenuti delle ultime intercettazioni dei colloqui dell’anziano capomafia Totò Riina con l’esponente della Sacra corona unita Albero Lorusso non solo prendono di mira l’opera di don Luigi Ciotti, ma si scagliano con durezza contro la persona di Giovanni Paolo II, “reo” di avere puntato il dito contro la violenza mafiosa nello storico anatema della Valle dei Templi, il 9 maggio 1993, pochi mesi prima dell’omicidio di don Pino Puglisi a Palermo. «Pentitevi! Verrà il giudizio di Dio» gridò Wojtyla, poche ore dopo avere incontrato gli anziani genitori del giudice Rosario Livatino, ucciso barbaramente due anni prima. «Pentitevi! – dice Riina – ma che mi pento…Ma pentiti tu! Perché vai facendo questi comizi? Perché sei venuto ad Agrigento?». E giù duro con commenti del tipo: «Non sei un Papa, tu sei un disgraziato, tu sei un prepotente, uno scellerato». E «quello polacco era cattivo, era cattivo proprio, era un carabiniere».  Le parole di Giovanni Paolo II avevano dato molto fastidio alla mafia. Prova ne sono anche le parole emerse dalle indagini sfociate nell’operazione di polizia Gotha, che il 20 giugno 2006 ha portato all’arresto della “triade” che costituiva il direttorio dei più stretti collaboratori di Bernardo Provenzano. Due arrestati, Rosario Parisi e i boss Antonino Cinà, due giorni dopo la morte di Giovanni Paolo II, ricordano l’effetto di quell’anatema: «Ho sentito poverino, perché era, a parte quella sbrasata (cioè uno sproloquio, un’esagerazione, ndr) un pochettino pesante verso i siciliani in generale, però è stato un cristiano buono, diciamo che è stato un artefice per abbattere il comunismo». Dichiarazioni inserite nei faldoni dello storico processo di beatificazione di don Pino Puglisi, ucciso dalla mafia esattamente 21 anni fa, proprio a dimostrare che la mafia ordinò il delitto in odium fidei, in odio alla fede cristiana. Il perché lo spiega lo stesso Leoluca Bagarella, cognato di Riina: «Iddu si tirava i picciotti cu iddu, quindi faceva ’stu dannu, predica tutta ’arnata (Lui attirava i giovani, faceva danno, predicava tutta la giornata, ndr)». Parlava don Puglisi, parlava a tutti, ai giovani, alle donne, ai bambini. E agiva: aveva stravolto le modalità della festa in onore di San Gaetano, da sempre controllata dalla cosca locale; stava svolgendo una battaglia per la costruzione di una scuola media e per togliere alcuni scantinati dalle mani dei criminali. La predicazione del Vangelo stessa dava fastidio, ancora di più perché si trasformava in opere. Ma per Bagarella i Graviano avevano in qualche modo sbagliato ad ucciderlo dopo che aveva conquistato la gente del quartiere Brancaccio, avrebbero dovuto farlo fuori subito.  E la storia si è ripetuta anche in altre regioni del Sud, con modalità simili. Non passò nemmeno un anno dalla morte di Puglisi in Sicilia che un altro servo della Chiesa venne trucidato, questa volta in Campania. Don Peppino Diana, sacerdote e scout, venne assassinato dalla Camorra il 19 marzo 1994, a Casal di Principe. Don Diana cercò di aiutare la popolazione nei momenti di guerra fra i clan di Camorra: testimonianza ne è la lettera “Per amore del mio popolo” diffusa a Natale del 1991 in tutte le chiese del paese. Venne ucciso nella sacrestia della chiesa di San Nicola di Bari, nel giorno del suo onomastico. Gli attentati ai sacerdoti impegnati nei quartieri più difficili del Meridione non si sono mai fermati. L’ultimo episodio ha colpito il parroco della chiesa della frazione di Papaglionti di Zungri, diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea, don Giuseppe La Rosa, a cui sono state tagliate le gomme dell’auto. Un episodio grave, seguito ad alcune prese di posizione sullo svolgimento della festa patronale.
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