martedì 28 settembre 2010
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«Prima ci ha cacciato dal partito e ora vorrebbe cacciarci anche dalla maggioranza. Ma se pensa che abbiamo paura del voto si sbaglia di grosso». Gianfranco Fini suona la carica ai suoi: «Sotto il documento da mettere ai voti ci deve essere anche la nostra firma. Preventivamente, non a cose fatte», spiega a tutti i dirigenti che sente nell’intera mattinata. Alla sua richiesta di «fermare il gioco al massacro» non è arrivata «nessuna risposta concreta». E allora ecco avanzare l’altro scenario possibile, quello della rottura, da sancire con un’astensione. Con l’inevitabile conseguenza, se la maggioranza non raggiungesse la fatidica quota 316, di un’accelerazione verso il voto. Ragiona ancora Fini: «Alla vigilia del discorso di Mirabello Berlusconi ha tolto il processo breve dai cinque punti, e l’avevo interpretato come un segnale distensivo, ora lo inserisce di nuovo, inserisce anche le intercettazioni, tutte cose che non sono nel programma. Ma allora vuole lo scontro, ci vuole costringere a non votare», conclude. «Doveva essere un modo per allargare la maggioranza, questo discorso alla Camera, sta diventando il modo per cacciarci fuori», era lo sfogo del presidente della Camera. «Al Foglio avevo chiesto di resettare la maggioranza, e non mi ha ascoltato, ora ho proposto di fermare il massacro, ma lui peggio di prima».E allora Fini incarica il capo dell’ala dura, il capogruppo alla Camera Italo Bocchino, di avvertire il Pdl: «Serve un vertice di maggioranza, non si è mai visto che due delle tre gambe propongano un documento mentre l’altro pezzo legge, sente e vota». E a chi gli chiedeva dell’ipotesi voto a marzo Bocchino rispondeva secco: «Siamo sempre pronti, anche domenica prossima», diceva. Poi il capogruppo di Fli a Montecitorio, che è anche leader di Generazione Italia, si spostava Milano, a portare la sfida nel "cuore" del Pdl e della "Padania": «Il nostro movimento è radicato e capillare sul territorio», diceva soddisfatto dalla partecipazione e dai 130 circoli spuntati in Lombardia.Ma il segnale che il presidente della Camera lancia al Pdl, in definitiva, tende anche a chiamare a raccolta, o alle armi, l’ala più moderata degli stessi finiani: «Berlusconi non può pensare di incassare i nostri voti a buon mercato, dopo aver provato in tutti i modi di toglierci uomini», diceva ancora Fini  con i suoi. Più esplicito ancora Bocchino: «Non dico che sia lui ad organizzare le campagna di stampa. Dico però che l’obiettivo di Berlusconi è distruggere Fini».E le parole di Bocchino provocano dure reazioni nel Pdl. «Fa più danni Bocchino di Tulliani», dice il portavoce Daniele Capezzone. «Assistiamo, ancora una volta, a esternazioni che lasciano perplessi», dicono in una nota congiunta i leader delle colombe, il presidente della Commissione Finanze del Senato Mario Baldassari, il sottosegretario Roberto Menia, il coordinatore di Fli Silvano Moffa e il capogruppo al Senato Pasquale Viespoli: «Le valutazioni espresse da taluni esponenti di Futuro e Libertà rappresentano personali prese di posizione, trattandosi di scelte non preventivamente discusse e decise nei rispettivi gruppi parlamentari».Così in uno scenario ancora confuso, a poche ore dal discorso di Berlusconi, persino un esponente dell’ala dura di Fli, solitamente disponibile a dire la sua senza reticenze ora si rifugia nell’anonimato: «Astensione? Oggi come oggi mi giocherei la tripla. Decidiamo mercoledì nel gruppo». E il moderato Viespoli prova a stemperare: «La dialettica interna a Fli non significa rottura. Aspettiamo di sentire Berlusconi».
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