sabato 14 dicembre 2013
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Non ha alcuna intenzione di farsi portare via dal neosegretario del Pd la bandiera del rinnovamento e delle riforme. Così ieri il premier Enrico Letta è sceso in campo con parole molto decise: «È passato – ha detto al Tg2 – il tempo delle minacce quotidiane, degli aut aut. Adesso c’è una maggioranza unita, coesa che vuole fare le riforme». Un modo anche per rassicurare i partner di governo che il Pd non intende costituire una doppia maggioranza: una per il governo, l’altra con Fi e Grillo per la legge elettorale. Il premier ha aggiunto: «Discuteremo e troveremo l’intesa sulla riduzione dei parlamentari, la riforma del bicameralismo e la legge elettorale». Le parole di Letta arrivano nel giorno in cui il governo ha annunciato alla Camera che rinuncia alla strada della modifica temporanea dell’articolo 138 della Costituzione. La riforma del «138» finisce insomma sul binario morto. Esultano i grillini, mentre Brunetta (Fi) canta le campane a morto per la commissione dei costituzionalisti, i cosiddetti saggi. Costa (Ncd) insorge: «I saggi non c’entrano con il 138».Ma sulla riforma della legge elettorale la Camera intende far presto. Il presidente Laura Boldrini ha scritto una lettera in proposito al presidente della I Commissione, raccomandandogli tempi rapidi. E tra i renziani c’è ottimismo. Si conta di arrivare alla prima lettura entro il mese di febbraio. Tanta fretta, però, fa crescere i sospetti dei centristi, alfaniani in primis. Lo "strappo" del passaggio dal Senato alla Camera – non casualmente – non è piaciuto a tutte le forze riconducibili in qualche modo al centro (Ncd, Scelta Civica, Progetto per l’Italia, Udc, Centro democratico), che temono un asse tra il Pd di Renzi, i 5 Stelle e Forza Italia per riformare al più presto la legge elettorale e andare di corsa alle urne. I centristi  hanno bisogno di tempo per organizzarsi, specie dopo le scissioni che hanno movimentato il quadro politico. Diventa pertanto vitale per loro che il governo Letta vada avanti. Gaetano Quagliariello, ministro delle Riforme, questo discorso lo esplicita con chiarezza. «Troviamo subito l’accordo per una legge elettorale soltanto per la Camera – ha detto al Sole 24ore – mentre al Senato si vada avanti sull’abolizione del bicameralismo e sulla riduzione del numero dei parlamentari.  Ecco questo sarebbe un bel segnale e si elimina il sospetto che si voglia trasferire l’esame della riforma elettorale dal Senato alla Camera solo per far cadere il governo votando una legge assieme a Grillo o a Fi». Il ministro Dario Franceschini, trait d’union tra Letta e Renzi, non chiude la porta. In una intervista all’agenzia Asca spiega: «Il 2014 può diventare l’anno delle riforme se non ci si pongono obiettivi irraggiungibili». Franceschini enumera: «Un sistema monocamerale con una sola camera elettiva e l’altra, la Camera delle Regioni, non elettiva, e una legge elettorale che dia stabilità e governabilità anche in un quadro politico che si è scomposto e in cui nessun schieramento raggiunge il 30 per cento».
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