martedì 28 ottobre 2014
​Al Pd: «Non credo alla scissione». Crescita allo 0,6%  Consulta, ok al cambio del nome: «Violante capirebbe»
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I riflettori erano accesi tra Leopolda e San Giovanni, ma mentre il Pd si divideva le piazze reali e virtuali, a Bruxelles si chiudeva «il contenzioso con l’Europa». E questo è il vero tema per Matteo Renzi, che pensa al futuro italiano con il segno positivo e vede «un +0,6, se torneranno a crescere occupazione e fiducia». Il presidente del Consiglio torna in tv a La7 il giorno dopo la manifestazione di Firenze, dove si è vissuta la lacerante divisione dei democratici, al limite dello strappo. Il premier parla, quando da poco si è concluso il tavolo dei sindacati con i ministri Padoan, Madia e Poletti. Ancora una volta, a suo modo, gela Camusso e compagni, e tuttavia non chiude le porte. «Il governo deve parlare con i sindacati e ascoltarli, ma ciascuno tor- ni a fare il suo mestiere: i sindacati fanno le trattative con le imprese ma le leggi si fanno in Parlamento», mentre il governo «non deve trattare con i sindacati». Detto questo, però, il premier è pronto all’ascolto. Ma, precisa, «bisogna finirla di pensare che si alza uno e blocca gli altri». Insomma, dice velenoso, «se vogliono i sindacalisti si fanno eleggere in Parlamento, del resto ce ne sono talmente tanti, si troverebbero a loro agio». Velenoso con i sindacati, dunque, ma anche con quella parte del Pd che si è schierato a fianco della Cgil e per la quale si evoca la scissione. Il segretario del Pd ora dice di volerla scongiurare, perché «sarebbe il colmo. Abbiamo aperto le porte per far entrare la gente, non per farla uscire». Insomma, «la politica chiede lo sforzo di ascoltarsi ma io vorrei che passasse che al governo ascoltiamo tutti ma non ci facciamo fermare da nessuno». È finita l’era di Prodi. «Il potere di veto dei piccoli raggruppamenti ha distrutto il nostro Paese. Ha bloccato la possibilità di fare le riforme». Poi, comunque, se scissione sarà, «c’è già qualcosa a sinistra del Pd, che ha preso il 4,3 per cento». Tempi nuovi, dice il rottamatore. Oggi le riforme «che prima erano idee » sono «atti parlamentari», come quel Patto del Nazareno che ancora si vorrebbe far passare per un accordo sottobanco. E se le riforme diventano legge, la partita europea «resta aperta. Come è accaduto per le banche, salvo i casi di Carige e Mps: «Ma il problema non è irrisolvibile». E allora, insiste, «se ci fermassimo daremmo ragione all’Europa». Qui il premier chiede ancora il coinvolgimento dei Cinquestelle: «Spero che la parte più seria del M5s si confronti». Quella che rifiuta le battute «inqualificabili» di Grillo sulla mafia. Anche per quanto riguarda i giudici della Consulta. A costo di mettere da parte Violante, «che è un servitore delle istituzioni» e capirebbe.

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