martedì 17 maggio 2016
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ROMA Resta ancora il referendum il primo pensiero di Matteo Renzi, che si occupa di amministrative, per ora, solo indirettamente in Consiglio dei ministri con la proposta (bocciata) di Alfano di riaprire le urne di lunedì. Nella sua e-nwes periodica, il premier lancia la campagna che prenderà il via sabato, ma soprattutto sterza bruscamente rispetto alla linea tenuta finora sull’appuntamento di ottobre. «Personalizzare – scrive sul suo sito web – lo scontro non è il mio obiettivo, ma quello del fronte del No che, comprensibilmente, sui contenuti si trova un po’ a disagio: ma davvero vogliono mantenere tutte queste poltrone?». Dopo aver puntato tutto sulla decisione finale degli elettori riguardo alla riforma costituzionale, dunque, arriva quello che sembra un 'contrordine'. Anche se i fedelissimi confermano che il referendum resta «lo spartiacque ». La domanda che il premier gira agli italiani è quanti veramente vogliono «questo bicameralismo che non volevano nemmeno i costituenti e che furono costretti ad accettare per effetto dei veti incrociati? Questa confusione insopportabile sulla materia concorrente tra Regioni e Stato centrale?». Una raffica di richieste che per molti, anche nella sinistra del Pd, tradisce una insicurezza riguardo a un ri- sultato che sembrava quasi scontato solo qualche mese fa. E per raggiungere il quale il segretario avrebbe voluto la mobilitazione del partito al completo. E però alla minoranza interna, il segretario dem continua a non dare il segnale concordato prima del voto della riforma Boschi. Anzi, sembrano allungarsi i tempi della legge elettorale per l’elezione diretta dei senatori, da affiancare all’Italicum. Di fatto si tratta di un provvedimento che potrebbe essere varato anche con il nuovo Parlamento, visto che entreranno in vigore le norme transitorie, e soltanto la Sicilia dovrebbe andare al voto per le regionali prima del 2018. Però le dichiarazioni del sottosegretario agli Affari regionali Gianclaudio Bressa relative al ricorso alla norma transitoria hanno messo in allarme la sinistra dem, consapevole che non ci sono limiti all’applicazione di questa regola, e dunque il premier potrebbe disattendere gli impegni presi. «Mi aspettavo un chiarimento rispetto all’intervento di Bressa – spiega Vannino Chiti, dell’opposizione interna – , sulla legge per l’elezione dei nuovi senatori, da parte del governo o almeno della maggioranza del Pd. Non essendocene ad ora traccia é necessario precisare alcuni aspetti per chiarezza, non per il gusto di nuove polemiche». Per l’autorevole senatore «è possibile e necessario approvare la legge per l’elezione dei consiglieri regionali-senatori entro questa legislatura, a meno che non si intenda andare a un voto anticipato nei primi mesi del nuovo anno. Il premier tuttavia ha sempre detto di volere le elezioni nel 2018. Non é vero che la legge elettorale attuativa della riforma provocherebbe lo scioglimento dei consigli regionali: non sta né in cielo né in terra. Al loro naturale scioglimento i cittadini sceglieranno con il voto i consiglieri regionali e chi tra loro diventerà senatore». Insomma, ragiona Chiti, «per questa via nel 2018 in Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Molise, Basilicata, Valle d’Aosta, Trento e Bolzano e forse anche in Sicilia saranno eletti i nuovi senatori e la riforma per questi aspetti sarà del tutto attuata nel 2020», mentre «l’approvazione della nuova legge elettorale in questa legislatura, insieme alle norme sul presidente della Repubblica e sui giudici della Corte Costituzionale, era alla base dell’intesa che ha portato tutto il Pd ad approvare la riforma. E resta naturalmente la condizione per l’impegno coerente di ognuno di noi nel prossimo referendum». È un ultimo avviso che suona verso Palazzo Chigi: «Ci sono tutte le condizioni perché la riforma della legge elettorale per i senatori si faccia entro questa legislatura, come da accordi e da impegni », fa eco il bersaniano Miguel Gotor: «Tra gentiluomini i patti si rispettano». © RIPRODUZIONE RISERVATA
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