domenica 10 ottobre 2010
L’esempio del liceo artistico «Caravaggio» di Milano, che accoglie 21 alunni con disabilità. «Mettiamo in luce le potenzialità che ciascun ragazzo manifesta» spiega il professor Spadavecchia.
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Accogliere uno studente con sindrome di Down (SD) nella scuola non va considerato solo un dovere dettato dalle leggi, ma una sfida per migliorare la società a partire dall’istituzione destinata a formare le nuove generazioni. Tuttavia i problemi dell’integrazione scolastica non mancano, come vuole ricordare la Giornata nazionale delle persone con SD che si celebra oggi. Organizzata dal Coordinamento nazionale (CoorDown onlus) – che riunisce i rappresentanti di 80 associazioni – la Giornata vuole aiutare a sfatare tanti pregiudizi che ancora resistono sulle persone con SD e che talora impediscono una loro piena integrazione nella vita sociale. Oggi in 200 piazze in tutta Italia (l’elenco sul sito www.coordown.it) verranno distribuiti materiale informativo e tavolette-messaggio di cioccolato provenienti dal commercio equo e solidale in cambio di un contributo per sostenere i progetti delle associazioni. In tema di inclusione scolastica il CoorDown denuncia problemi che recenti decisioni politiche ed economiche hanno aggravato: «Classi di 25-30 alunni, avvicendamenti e ritardi nelle nomine degli insegnanti di sostegno, mancanza di un tetto massimo di alunni con disabilità nella stessa classe, accorpamento di alunni con disabilità con un unico insegnante di sostegno fuori della classe, utilizzo dell’insegnante di sostegno per supplenze».«La scuola è un laboratorio di vita – spiega Tatiana Salvetti, pedagogista dell’associazione “Capirsi Down” di Monza – dove il ragazzo con SD impara anche a gestire il rapporto con gli adulti e i compagni. Certamente bisogna “educare” anche gli insegnanti e i genitori della classe alla comprensione della diversità, e noi organizziamo corsi in questo senso. Una criticità è il fatto che gli insegnanti di ruolo talvolta ritengono che gli alunni con SD siano “cura” dell’insegnante di sostegno, mentre il piano educativo individualizzato (Pei) deve essere redatto dal consiglio di classe». Aggiunge la pedagogista: «Occorre anche far capire che la didattica a scuola è importante, ma che la scuola non è solo didattica». Un concetto estremamente chiaro al liceo artistico statale «Caravaggio» di Milano, che accoglie 21 ragazzi con disabilità. «Quest’anno – spiega Mauro Spadavecchia, referente del gruppo dei docenti di sostegno dell’istituto – è entrata una ragazzina con SD, che è andata ad aggiungersi ad alcuni ragazzi sordi, autistici o con diverse forme di ritardo mentale. Puntiamo a mettere in luce le potenzialità che ciascun ragazzo manifesta. Abbiamo un’équipe consolidata ed esperta di sette docenti di sostegno, tutti di ruolo, e un’aula dedicata (con computer e materiali didattici) per attività individuali quando il ragazzo con disabilità deve alleggerire il proprio carico di lavoro, uscendo dalla classe». Il nodo risorse però incide: «Prepariamo i progetti per accogliere gli alunni con disabilità a partire dalle diagnosi funzionali e dopo esserci confrontati con le famiglie: purtroppo – osserva Spadavecchia – ci vengono assegnate sempre meno cattedre rispetto a quelle richieste. E anche sul fronte degli assistenti educatori i Comuni ci rispondono tardi e riducendo i fondi rispetto alle necessità. Fortunatamente otteniamo da anni alcuni contributi sia da parte del Pio Istituto sordomuti poveri di campagna (proprietario dello stabile della scuola), sia da Provincia e Regione, nonché da privati: servono per avviare progetti, che chiamiamo Disabil-arte». Però su un punto il professor Spadavecchia è irremovibile: «L’accoglienza nella scuola superiore è un diritto del ragazzo, ribadito da una sentenza della Corte Costituzionale del 1987. Non tutti arriveranno a ottenere il diploma (qualcuno avrà un attestato di frequenza per successivi corsi professionalizzanti), ma di fronte a rifiuti immotivati della scuola, la famiglia dovrebbe avere il coraggio di denunciare».
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