venerdì 5 giugno 2015
Il sindaco: non lascio, ho fermato io il malaffare Renzi: chi ruba pagherà tutto. E valuta un piano B.
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All’appuntamento più importante del giorno Matteo Renzi è assente. Intorno a un tavolo, alle 13, ci sono il commissario del Pd romano Orfini, il sindaco Marino e il governatore Zingaretti. Il premier è a pranzo a Palazzo Chigi con l’ex presidente brasiliano Lula, ma è in contatto costante con il Nazareno. Di ciò che viene detto fra i tre protagonisti della giornata, lui conosce anche le virgole. D’altra parte la linea è una e la detta lui: «Marino va avanti». Una scelta e una necessità. Con un’incognita grande come una casa: chi c’è tra i 21 indagati della procura? Potrebbe venire fuori un nome associabile alla giunta comunale o regionale? In tal caso cambierebbe tutto, la linea della difesa a oltranza del sindaco sarebbe destinata a cadere. A maggior ragione se i tre inviati dal prefetto al Campidoglio, con una relazione attesa tra fine giugno e inizio luglio, dovessero constatare che l’amministrazione comunale è infiltrata a tal punto da determinare lo scioglimento del Consiglio e l’insediamento del commissario. D’altra parte la difesa di Marino è tutta incentrata sull’estraneità sua e dei suoi uomini: «Vado avanti, non c’è nessuno della mia giunta. Ho allontanato la politica colpevole, con le regole che ci siamo dati queste cose non possono più accadere», dice il primo cittadino dal mattino alla sera, come fosse un mantra. Ma Renzi guarda a Roma con preoccupazione enorme. Lo si capisce dagli occhi dei renziani che siedono in Campidoglio come Luciano Nobili. Lo si capisce soprattutto dalle poche parole pubbliche che il premier spende durante la giornata. Poche, e distanti da riferimenti espliciti. «Stiamo combattendo la corruzione con grande determinazione – dice il premier a margine del bilaterale con la presidente cilena Michelle Bachelet –. C’è la presunzione d’innocenza, ma quando arriva la sentenza chi ha rubato deve pagare tutto fino all’ultimo giorno e fino all’ultimo centesimo». Ma la testa ha in mente altri scenari. Un uomo di Marini o di Zingaretti nella lista dei 21, e la frittata è fatta. Il commissario nella Capitale d’Italia, notizia da Cnn. E un 2016 che da corsa in pianura si trasformerebbe in scalata di montagna: elezioni a Milano contro Salvini, elezioni a Roma contro Meloni e Di Battista. Scenari per ora da scongiurare con una strategia che prevede la difesa a oltranza. «Marino va avanti. Lui è il baluardo della legalità. Per il sistema Buzzi-Carminati è un ostacolo», dicono Renzi nei dialoghi informali e Orfini nel confronto con la stampa dopo il vertice al Nazareno. L’ordine di scuderia di Palazzo Chigi è netto sin dal mattino. Mostrare serenità. Nessun cedimento, nessuna paura, nessuna tentazione di abbandonare Marino, la giunta di Roma e il Pd cittadino che i 'commissari' Matteo Orfini e Stefano Esposito stanno cercando di ripulire. «Quando la magistratura fa il suo dovere noi siamo contenti, non preoccupati. Stiamo facendo piazza pulita a Roma, abbiamo migliaia di amministratori onesti, nessuno come noi è ed è stato così solerte nel cacciare chi sbaglia. Non dobbiamo fare il gioco degli altri... », alza la voce Ettore Rosato, vicecapogruppo alla Camera e vicinissimo al premier. Gli 'altri' sono Salvini, Meloni ed M5S, che chiedono a tutta forza le dimissioni del sindaco di Roma, del governatore laziale Zingaretti e di Orfini. Il pentastellato Lombardi arriva a definire il Pd «referente politico della mafia». Ed è solo l’antipasto del clima che si respirerebbe in una eventuale campagna elettorale.  È una chiamata alle armi quella del premier e di Orfini. È chiaro che il voto anticipato a Roma sarebbe «inopportuno» per mille motivi, compreso il clima d’opinione che si sta creando intorno ai democratici e alla segreteria-Renzi. Un clima «assurdo», dicono gli uomini del premier, anche perché i democrat coinvolti sono della vecchia guardia. Non solo: tra Palazzo Chigi e Nazareno si respira l’aria di un accerchiamento mediatico. Tanti democrat la mettono così: «Qui le carte dicono che il sistema nasce nell’amministrazione Alemanno, eppure non fate altro - si riferiscono ai giornalisti, ndr - che parlare di noi come di un partito di corrotti». Parole che sono anche una risposta a Forza Italia, che in serata, dopo un vertice di partito, ha chiesto l’azzeramento delle giunte comunali e regionali.  Come per il caso De Luca, le ricadute sono nazionali. Riguardano la credibilità del Pd. Perciò la reazione, come dopo la 'prima ondata' dell’inchiesta, è immediata. Orfini non si nasconde, affronta la stampa, ribadisce i meriti del Pd nell’aver rimosso i dirigenti e i consiglieri coinvolti, nell’aver affrontato subito il caso- Ostia. Poi lancia un’accusa ai servizi segreti: «È curioso che una figura come Carminati abbia potuto costruire un sistema criminale di tale entità. Chiederò al Copasir di occuparsi di questa vicenda, per chiedere come è possibile che i servizi segreti non si siano accorti di cosa stava facendo una persona a loro evidentemente nota». E poi il mantra del partito: «Marino va avanti. I consiglieri sospesi vengono sostituiti con i primi dei non eletti». Insomma la risposta di Renzi e del Pd è identica a quella maturata dopo il primo round dell’inchiesta. Si smentisce l’ipotesi che i pm abbiano 'ritardato' la loro iniziativa per non influire sulle regionali, ma nessuno può negare che se la faccenda fosse venuta fuori due giorni prima del voto l’esito sarebbe stato disastroso. Il punto è avere pronto un piano B, non ingabbiarsi nella sola difesa di Marino. Un’exit strategy se le cose peggiorano. Renzi non vuole un voto sull’onda degli scandali. E in fondo teme pure che in caso di urne anticipate Marino - poco amato dal partito - pretenda di ricandidarsi. E allora gli occhi sono sulla lista dei 21 indagati e sull’operato del prefetto. Con un retropensiero inconfessabile: un commissariamento ha tanti contraccolpi negativi, ma anche uno positivo perché concede il tempo per ripulire e riorganizzarsi. 
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