martedì 10 settembre 2019
Il premier ha depositato ieri a Palazzo Madama l'intervento svolto alla Camera. Nel pomeriggio la replica del presidente del Consiglio. A seguire dichiarazioni di voto e voto
Fiducia al governo Conte anche al Senato: 169 sì, 133 no, 5 astenuti
COMMENTA E CONDIVIDI

«Il Parlamento ha votato la fiducia. Un nuovo inizio per l’Italia, una stagione riformatrice di rilancio e speranza. Costituzione e rispetto delle istituzioni la nostra bussola, gli interessi degli italiani il nostro obiettivo. Al lavoro con coraggio e determinazione». È sera quando il premier Giuseppe Conte affida a un tweet il compito di tirare le fila e, dopo il tempestoso doppio via libera delle Camere, cercare di guardare avanti. 169 i sì raccolti in Senato dal Conte 2 (113 i no e 5 le astensioni) rendono la nave della maggioranza in grado di affrontare il mare, ma piuttosto gracile. «Ottenuta la fiducia del Parlamento, ora con i fatti dobbiamo ottenere la fiducia degli italiani, la cosa che mi sta a cuore», commenta da parte sua Luigi Di Maio che ammette: «Sul Pd ero scettico, ma poi mi ha stupito positivamente».

A Palazzo Madama è finita più o meno come previsto. Compreso il nuovo duello tra il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e l’ex alleato Matteo Salvini, senatore e leader della Lega, che nel suo discorso in Aula lo ha attaccato ripetutamente. Un replay vivace, appena un po’ meno rumoroso di quello che si era svolto il giorno prima nell’aula di Montecitorio. E per la seconda volta, dopo la replica di Montecitorio lunedì sera, Conte ha risposto per le rime alle accuse arrivate dagli scranni leghisti. Nei suoi 20 minuti di intervento Salvini è andato giù duro, mettendo il premier sotto accusa sul piano della coerenza, accusandolo di trasformismo, di essere «incollato alla poltrona» tanto da passare dalla «rivoluzione al voto di Casini, Monti e Renzi» (il senatore a vita e l’ex leader centrista avevano da poco annunciato il loro sì la governo). Lo ha chiamato «Conte Monti» e lo ha ripreso a proposito dello stile: «Lo stile è sostanza, non dipende solo dalla cravatta, dalla pochette e dal capello ben pettinato», ha detto il capo leghista parlando di un governo «formalmente legittimo ma sostanzialmente abusivo» e bocciando il nuovo «inciucio» sulla legge elettorale proporzionale. Un duello andato in scena con il concorso di un’agguerrita tifoseria della Lega, con la senatrice Lucia Borgonzoni che ha esibito in Aula una maglietta con la scritta «Parliamo di Bibbiano!» e lo stesso premier accolto alle urla di «traditore!» e di «dignità».

Conte ha preso la parola a fine dibattito. Prima gli auguri di compleanno della senatrice a vita, sopravvissuta alla Shoah, Liliana Segre, quindi ha ribadito la necessità di un ritorno a toni più misurati, specie nell’utilizzo dei social network (associandosi all’idea di un osservatorio contro la cultura dell’odio sulle piattaforme digitali). Poi la replica alla Lega: «Con una certa arroganza una forza politica unilateralmente ha deciso di portare l’Italia alle elezioni, di volerci arrivare da ministro dell’Interno e sempre unilateralmente e arbitrariamente di concentrare definitivamente nelle proprie mani tutti i poteri: pieni poteri. Se questo era lo schema, l’obiettivo e il progetto è comprensibile che tutti coloro che per senso di responsabilità e nel rispetto della costituzione, che tutti costoro siano diventati nemici». Ai senatori leghisti che reagivano con urla: «Dignità, dignità». Conte ha ricordato che «la dignità per quanto riguarda le funzioni del presidente del Consiglio non si può valutare in base al fatto che sia o meno con voi al governo. La dignità deriva solo dal fatto di servire con onore e massimo impegno il Paese nell’interesse degli italiani. Mi direte invece cosa c’è di dignitoso nei vostri repentini voltafaccia delle ultime settimane...».

Duellanti a parte, è finito secondo copione anche il capitolo dei dissensi interni ai gruppi di maggioranza: si sono astenuti il dem Matteo Richetti che, scettico sull’alleanza con il M5s, ha annunciato di voler passare al gruppo misto e il pentastellato già di area leghista Gianluigi Paragone. Ha votato contro Emma Bonino, a differenza dei tre colleghi di +Europa della Camera. Sul piano dei numeri, come si diceva, il nuovo governo sconta margini abbastanza stretti in Senato. Nei 169 sì ci sono infatti tre senatori a vita e diversi esponenti di gruppi minori. Mentre la maggioranza politica in senso stretto, M5s,Pd e Leu vale 159-160 senatori, sui 321 di palazzo Madama a ranghi completi.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: