giovedì 4 gennaio 2018
In altre nazioni tutte le famiglie contano su un sistema che lascia loro una quota di reddito crescente all'aumentare del numero di figli
Così il nostro fisco penalizza chi è genitore
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Ogni volta che l’Istat aggiorna la serie dei dati mensili del bilancio demografico di questo Paese, si resta col fiato sospeso nell’attesa di un segnale di cambiamento che anticipi una qualche inversione di tendenza. Salvo poi ritrovarsi al punto di partenza con un misto di delusione e di preoccupazione. Ciò è quanto puntualmente si è verificato anche quando le statistiche anagrafiche ci hanno informato, qualche giorno fa, che la popolazione italiana è scesa quest’anno sotto la soglia simbolica di 300 mila nati nei primi otto mesi, con una riduzione del 2,2% rispetto al corrispondente periodo del 2016 e collezionando un deficit naturale (più morti che nati) di 142mila unità. Un passivo che ha già raggiunto, in solo due terzi dell’anno, quanto registrato nei dodici mesi del 2016; a conferma del continuo inseguimento di nuovi record al ribasso in un Paese da tempo demograficamente allo sbando.
Se poi alla luce di queste premesse andiamo alla ricerca di una reazione nei palazzi della politica, la delusione e la preoccupazione rischiano di trasformarsi in rabbia. A quanto è dato capire, la nuova legge di bilancio sembra infatti non dimostrare particolare impegno nell’affrontare, con misure serie e coerenti, ciò che frequentemente e nelle sedi più diverse viene etichettato come "inverno demografico". Un malessere di cui sono ben noti i sintomi, le cause, gli effetti e le possibili terapie. Ma rispetto al quale manca tuttora la scelta (o quanto meno la disponibilità) di un medico cui affidare il paziente, con le necessarie garanzie di competenza e fiducia.

Eppure è agevole rendersi conto come l’inverno demografico sia meno rigido, rispetto al nostro "clima", oltre confine in molte parti dello stesso Mondo economicamente più sviluppato. Nella graduatoria della fecondità tra i 55 Paesi dell’area Ocse l’Italia, con i suoi 1,34 figli per donna, si colloca al settimo posto: fanno peggio di noi solo quattro partner Ue mediterranei (Portogallo, Spagna, Cipro e Grecia) cui si aggiungono Polonia e Corea del Sud. Viceversa il numero medio di figli per donna è, rispetto al dato italiano, superiore del 33% nel Regno Unito, del 37% in Svezia, del 42% in Francia e persino la Federazione Russa, che pur ha recentemente segnalato preoccupazioni sul fronte demografico, presenta un livello di fecondità che è del 32% superiore al nostro. I fattori che ci collocano in coda alle graduatorie della vitalità demografica sono di varia natura e complessità, tuttavia esiste accordo su una delle cause che, forse più di altre, spiega il forte divario tra l’Italia e quei Paesi che, come la vicina Francia, si caratterizzano per elementi di cultura e stili di vita non così diversi dai nostri. In particolare, ci si riferisce al tema del supporto economico alle famiglie a fronte degli ingenti costi di mantenimento, cura ed educazione dei loro figli.

Secondo un recente studio Ocse il sistema fiscale e le misure di sostegno presenti in Italia consentirebbero solo alle famiglie più povere – nel caso specifico identificate come coppie di lavoratori con salari inferiori del 50% al dato medio nazionale – una crescente protezione del loro reddito all’aumentare del numero di figli. Se infatti ci si sposta su condizioni di salario medio il divario tra chi è senza figli e chi ne ha (finanche tre o più) diventa decisamente modesto, per poi scomparire quasi del tutto quando si ha abbia che fare con lavoratori con una retribuzione del 50% superiore alla media (livello medio-alto). Come si vede, in Italia l’obiettivo di contrasto alla povertà sembra essere dominante nelle scelte di politica familiare, tanto da rendere secondario quello, altrettanto rilevante, di sostegno alla natalità. Le analisi Ocse mostrano viceversa come in altri Paesi – non a caso Francia, Svezia e Regno Unito – anche nell’ambito della classe media (e in Francia persino in quella medio-alta) le famiglie contano su un sistema fiscale e su forme di supporto che consentono di lasciar loro una quota del reddito guadagnato che è crescente all’aumentare del numero dei figli di cui si fanno carico.

L’esempio è dunque eloquente e il messaggio è del tutto chiaro: per combattere efficacemente livelli di denatalità come sono quelli che caratterizzano l’Italia di oggi occorre avere il coraggio e trovare i mezzi per agire anche sulle famiglie del ceto medio (e persino medio-alto) con forme di aiuto che siano adeguate e soprattutto concepite (e percepite) come azioni di accompagnamento persistente. Peccato, come più volte si è sottolineato su questo giornale (che, pure, ha difeso il bonus quando lo si voleva cancellare di colpo), che non sia esattamente quanto sembra prospettarsi con l’attuale un "bonus bebé": riservato unicamente ai redditi più bassi, necessariamente di importo modesto e, per di più, garantito per un solo anno.

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