sabato 29 ottobre 2016
Nel Paese balcanico vive da secoli una piccola comunità di origini italiane: i discendenti hanno raccolto 22mila euro per aiutare le popolazioni colpite dal sisma
Il Montenegro si mobilita per Amatrice e Visso
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Per raccogliere una forte somma a favore dell'Italia centrale sconvolta dal terremoto, hanno unito letteralmente tutte le loro forze. “Siamo la Comunità degli Italiani del Montenegro – hanno scritto ad Avvenire –, siamo rimasti profondamente colpiti dal sisma del 24 agosto e subito abbiamo sentito l’esigenza di avviare un’iniziativa umanitaria per dare aiuto alle regioni colpite dall’altra parte dell’Adriatico, proprio di fronte a noi”. Una raccolta sentita, capillare. Anche il sindacato del Porto di Cattaro si è mobilitato, e ognuno dei 47 lavoratori ha dato dieci euro. Totale, 22.388,35 euro, precisi al centesimo. “Ora che nuove scosse hanno distrutto ciò che il sisma di agosto aveva risparmiato, mettendo a dura prova i nostri amici italiani, certamente riusciremo a mettere insieme altre risorse”, annuncia Pavo Perugini, attivissimo nella Comunità degli Italiani a Cattaro e per molti anni suo presidente. La cifra, ingente di per sé, assume un significato forte considerato il mittente: un piccolo Paese dei Balcani, "dove il cuore di molti batte in italiano".


"Per 400 anni fummo Repubblica di Venezia"

Se l’idea è nata dagli italiani – specifica Perugini – l’offerta però è frutto dell’adesione appassionata di quelli che chiama “gli amici della Comunità”, che in Montenegro sono numerosi, dato lo stretto legame secolare tra i due Paesi. Un rapporto di sangue che ancora oggi si legge nei cognomi e nella parlata dei bocchesi, gli abitanti delle Bocche di Cattaro, stessa latitudine della Puglia al di là dell’Adriatico, gioiello di architettura veneziana e Patrimonio dell’umanità protetto dall’Unesco. “Qui dal 1420 al 1797 era Repubblica di Venezia”, ricorda Dalibor Antonioli, avvocato montenegrino, la cui famiglia è nel Paese dal 1580, quando “da Salò vennero i miei avi ad aprire le prime farmacie. Una tradizione di famiglia che continuò per 500 anni, fino a mia madre, e tutti si laureavano a Padova”.


22.000 euro alla Croce Rossa

Ora quel mondo non esiste più. È svanito da secoli quell’embrione di Europa Unita attorno al Mediterraneo, che era la Repubblica di San Marco, eppure “nel nostro cuore batte un cuore ancora per metà italiano ed è venuto il momento di restituire ciò che per anni abbiamo ricevuto dall’Italia”, conclude Perugini, che mostra le carte del versamento già avvenuto sul conto delle Poste Italiane in collaborazione con la Croce Rossa Italiana. Tra i maggiori donatori ci sono l’Ente Porto di Cattaro e il Comune di Teodo, ma anche il Museo marittimo di Cattaro, l’associazione Dema e le società Vujicic e Bobo, le ong Aspida e Nova Akcija, Foto Parteli e Muo, oltre a tanti privati cittadini.


Nel 1979 il sisma distrusse Cattaro

Altri 5.000 euro arriveranno in novembre dal Comune della città montenegrina, e poi di nuovo a febbraio 2017. Una sensibilità. spiega Aleksandar Dender, attuale presidente della Comunità, che parte da una tragedia condivisa: “In passato anche noi abbiamo subìto le conseguenze di terribili disastri, l’ultimo di magnitudo 6.9 nel 1979 ha distrutto anche Cattaro. Sono morte 101 persone e 100mila sono rimaste senza casa”. In brevissimo tempo, però, Cattaro fu ricostruita com’era prima, nonostante le difficoltà in cui il Paese versava in quegli anni, ancora più che adesso.


Dai Leoni di San Marco alla regina Elena

“Qui molti parlano italiano o almeno lo capiscono, non solo per le lontane origini venete di molti di noi, ma anche perché durante la seconda guerra mondiale la regione fu annessa all’Italia dal 1941 al 1943". E ancora: "La vostra regina Elena, moglie di Vittorio Emanuele III e madre di Umberto II, morta nel 1952 e oggi proclamata serva di Dio, era figlia del re del Montenegro”, conclude Dender. Radici e affetti comuni, dunque, a dispetto del tempo che passa. Su Cattaro vegliano tuttora venti Leoni di San Marco in pietra (nessuna città veneta ne conserva tanti), tutti raffigurati con il libro aperto tra gli artigli, “simbolo che allora si usava per indicare che erano tempi di pace”.


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