venerdì 22 aprile 2016
​L'ergastolano Pace scrive al Papa, all'associazione Amici del giudice e a don Giuseppe, postulatore della causa di beatificazione.
 Il killer di Livatino chiede perdono
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ll 21 settembre del 1990 Rosario Livatino, giudice al tribunale di Agrigento esce da casa. Sale sulla sua auto quando, viene raggiunto da quattro giovani armati. «Che vi ho fatto?». Ha solo il tempo di pronunciare questa breve frase. I suoi assassini con freddezza lo uccidono. Oggi, a 26 anni di distanza, uno dei killer, Domenico Pace ha scritto al Papa, all’Associazione Amici del giudice Rosario Livatino ed a don Giuseppe Livatino postulatore della causa di beatificazione del giudice. Domenico Pace, pastore di Palma di Montechiaro sta scontando l’ergastolo nel super carcere di Sulmona. Giovanissimo eseguì l’ordine della stidda che voleva la morte di quel giudice. «La mia vita da pastore – scrive Domenico Pace – era fatta di solitudine e pochi sentimenti con la natura a far- mi compagnia durante il giorno ma con pochi contatti umani e scarse possibilità di essere aiutato a crescere umanamente. Questo ero io. Un ragazzo vuoto – prosegue Pace – senza avere motivazioni; sono qui a scrivere questa lettera perché credo sia giunto il momento di dirvi con sincerità chi ero e chi penso di essere oggi. Quando erano in vita i genitori del giudice ho pensato tante volte di chiedere loro perdono ma non sono riuscito a farlo». Ma Domenico Pace arriva anche ad analizzare i suoi stati d’animo giungendo anche a provare odio per se stesso. «Ho provato dolore – scrive l’uomo – tanto dolore ma a un certo punto inaspettatamente ho provato un poco di serenità è accaduto quando il bene e il male che prima dentro di me mi si mischiavano piano piano si sono distinti e chiariti». Domenico Pace scrive di essersi «liberato dal peso più grande delle mie colpe e mi sono sentito in pace». Ora chiede perdono: «Se lo farete vi guarderò con gli occhi pieni di gratitudine perché mi avete liberato dal resto del peso ». Ed a conclusione rivolge un pensiero alla sua vittima «la fede mi aiuta a sperare che il giudice Rosario Livatino mi abbia perdonato». E poi «credetemi lo sento vicino, ogni istante è con me e mi aiuta a vivere con forza d’animo la pena infinita che sto scontando». Accoglie come un segno in questo anno giubilare il gesto di Domenico Pace, il cardinale Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento. «Ciò che avviene nella coscienza di un uomo nel bene e nel male – dice Montenegro – è sempre impossibile decifrarlo. Però se dopo aver fatto del male, dopo avere ucciso un uomo, si sente il bisogno di chiedere perdono, per quel gesto così violento e crudele, quella richiesta di perdono non può che dare gioia nel constatare che dopo il male ci si possa rialzare. Ovviamente – conclude – la giustizia umana fa il suo corso ma la giustizia di Dio segue altri sentieri. Questa richiesta di perdono va inquadrato nell’atteggiamento del Padre che accoglie il figlio e lo fa rientrare in casa».  «Credo che questa richiesta di perdono – spiega don Giuseppe Livatino postulatore della causa di beatificazione del servo di Dio, Rosario Livatino – vada accolta nella sua profondità e nella sua valenza. Può essere un forte segnale, un invito pressante alla conversione dei cuori di quanti hanno commesso orrendi delitti». l 21 settembre del 1990 Rosario Livatino, giudice al tribunale di Agrigento esce da casa. Sale sulla sua auto quando, viene raggiunto da quattro giovani armati. «Che vi ho fatto?». Ha solo il tempo di pronunciare questa breve frase. I suoi assassini con freddezza lo uccidono. Oggi, a 26 anni di distanza, uno dei killer, Domenico Pace ha scritto al Papa, all’Associazione Amici del giudice Rosario Livatino ed a don Giuseppe Livatino postulatore della causa di beatificazione del giudice. Domenico Pace, pastore di Palma di Montechiaro sta scontando l’ergastolo nel super carcere di Sulmona. Giovanissimo eseguì l’ordine della stidda che voleva la morte di quel giudice.  «La mia vita da pastore – scrive Domenico Pace – era fatta di solitudine e pochi sentimenti con la natura a far- mi compagnia durante il giorno ma con pochi contatti umani e scarse possibilità di essere aiutato a crescere umanamente. Questo ero io. Un ragazzo vuoto – prosegue Pace – senza avere motivazioni; sono qui a scrivere questa lettera perché credo sia giunto il momento di dirvi con sincerità chi ero e chi penso di essere oggi. Quando erano in vita i genitori del giudice ho pensato tante volte di chiedere loro perdono ma non sono riuscito a farlo». Ma Domenico Pace arriva anche ad analizzare i suoi stati d’animo giungendo anche a provare odio per se stesso. «Ho provato dolore – scrive l’uomo – tanto dolore ma a un certo punto inaspettatamente ho provato un poco di serenità è accaduto quando il bene e il male che prima dentro di me mi si mischiavano piano piano si sono distinti e chiariti». Domenico Pace scrive di essersi «liberato dal peso più grande delle mie colpe e mi sono sentito in pace». Ora chiede perdono: «Se lo farete vi guarderò con gli occhi pieni di gratitudine perché mi avete liberato dal resto del peso ». Ed a conclusione rivolge un pensiero alla sua vittima «la fede mi aiuta a sperare che il giudice Rosario Livatino mi abbia perdonato». E poi «credetemi lo sento vicino, ogni istante è con me e mi aiuta a vivere con forza d’animo la pena infinita che sto scontando». Accoglie come un segno in questo anno giubilare il gesto di Domenico Pace, il cardinale Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento. «Ciò che avviene nella coscienza di un uomo nel bene e nel male – dice Montenegro – è sempre impossibile decifrarlo. Però se dopo aver fatto del male, dopo avere ucciso un uomo, si sente il bisogno di chiedere perdono, per quel gesto così violento e crudele, quella richiesta di perdono non può che dare gioia nel constatare che dopo il male ci si possa rialzare. Ovviamente – conclude – la giustizia umana fa il suo corso ma la giustizia di Dio segue altri sentieri. Questa richiesta di perdono va inquadrato nell’atteggiamento del Padre che accoglie il figlio e lo fa rientrare in casa». «Credo che questa richiesta di perdono – spiega don Giuseppe Livatino postulatore della causa di beatificazione del servo di Dio, Rosario Livatino – vada accolta nella sua profondità e nella sua valenza. Può essere un forte segnale, un invito pressante alla conversione dei cuori di quanti hanno commesso  orrendi delitti».
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