martedì 2 agosto 2022
Secondo il gip, Ferlazzo è "violento e con elevata pericolosità sociale". Il nodo della perizia psichiatrica e il ruolo della madre. Sabato il corteo della comunità nigeriana
La vedova di Alika, Charity Oriachi, con il sindaco di Civitanova Marche Fabrizio Ciarapica

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E' stato convalidato ieri mattina l’arresto di Filippo Ferlazzo, 32 anni, che venerdì scorso ha ucciso, nel centro di Civitanova Marche, l’ambulante nigeriano Alika Ogorchukwu, 39 anni. Il Gip di Macerata, Claudio Bonifazi, che lo ha incontrato nel carcere anconetano di Montacuto, lo descrive come soggetto «violento e con elevata pericolosità sociale». Secondo l’avvocato Roberta Bizzarri, che difende l’indagato, questi ha collaborato, ha chiesto scusa e ha chiarito che non c’è stata alcuna motivazione di tipo razziale: «Avrei agito così a prescindere dal colore della pelle» le sue parole. «Non credevo che le mie azioni potessero portare a conseguenze di questo tipo. Non volevo ucciderlo».

Sulle cause della morte del povero Alika qualche risposta in più dovrebbe arrivare dall’autopsia, prevista oggi. L’ordinanza che dispone la permanenza in carcere fa comunque riferimento a «evidenti gravi indizi di colpevolezza» e «pericolo di reiterazione del reato». Sulla pericolosità il gip, infatti, fa riferimento a un presunto disturbo bipolare, elemento che dovrà essere approfondito, anche in relazione alla situazione sanitaria legata allo stato di salute mentale. Una vita segnata dall’instabilità psichica, persino un Tso alle spalle, due visite psi-È chiatriche già effettuate dopo la decisione di trasferirsi nelle Marche. E l’altro grande interrogativo, su cui la famiglia di Alika adesso insiste: perché nessuno lo seguiva? Dov’era il suo tutore? Una pista che porta lontano, in Campania, dalla mamma di Ferlazzo, che sulla carta è anche il suo amministratore di sostegno: si chiama Ursula Loprete, ha 50 anni, è una interior designer e responsabile in un negozio di arredamento del centro di Salerno ed è conosciuta anche per un bed and breakfast di lusso dove hanno soggiornato molti vip. Si era anche candidata alle comunali lo scorso anno e tra le sue proposte, non a caso, c’erano progetti sul turismo e sull’arte. E mai aveva trascurato quel figlio problematico, inviato in tante comunità di cura e indirizzato anche a progetti di arteterapia e musicoterapia, anche se i rapporti per via della malattia non sempre sono stati semplici. Fino alla scelta di lui di andarsene via, su cui ora gli inquirenti vogliono vedere chiaro.

Con il passare delle ore, intanto, si allarga la mobilitazione suscitata dalla vicenda. Dopo il presidio improvvisato subito dopo il delitto, la comunità nigeriana marchigiana ha proposto una grande manifestazione nazionale per sabato prossimo, con un corteo che potrebbe partire dallo stadio per raggiungere il centro cittadino. Si tratta del primo appuntamento del neonato 'Comitato 29 luglio' che riunisce decine di sigle sociali e sindacali, per condannare la violenza e il razzismo. I promotori hanno chiesto all’amministrazione comunale di offrire un lavoro stabile alla vedova di Alika (amministrazione che ha già aperto una raccolta fondi). Il punto, però, resta il «razzismo invisibile», come lo definisce Amanze Daniel Chibuna, medico, presidente dell’Acsim, associazione impegnata nella difesa dei diritti degli immigrati. La comunità nigeriana nelle Marche conta circa 4mila persone, «dato – osserva Chibuna – che non considera una notevole fetta di popolazione “sommer-sa”, a partire dai non residenti e dai richiedenti asilo». «Noi non vorremmo caricare questo fatto come espressione di violenza razziale – chiarisce –. Il nostro invito, tuttavia, è proprio a non limitarci a questo episodio, a riflettere su tanti altri fatti che sono invece evidentemente frutto di una crescente campagna di odio nei nostri confronti. Chi si ricorda più di quel che è successo a Fermo sei anni fa? La stessa cosa succederà per questo fatto di Civitanova, che è già narcotizzato con l’anestetico dello squilibrio mentale. Quando ci sono, i problemi si affrontano, non si seppelliscono. I politici non hanno la volontà di affrontare il problema, al di là delle speculazioni. Così le persone di colore vengono usate come stracci, quando servono, carne da lavoro». La verità, conclude amaro Chibuna, «è che la nostra presenza non è gradita, ma va anche capito che chi arriva in Italia fugge da realtà drammatiche e cerca un’esistenza più dignitosa». Il sogno soffocato in 4 minuti di Alika.

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