mercoledì 14 dicembre 2011
Clamoroso caso in Svizzera, bimbo pugliese reso cieco e disabile. I giudici: colpa del cane. Trovato dalla madre in coma e seminudo, i vestiti riposti sulla neve. Per il magistrato ha fatto tutto il cucciolo di pastore tedesco. L’alibi della scuola per il branco, ma il registro presenze è sparito.
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​È il 7 febbraio del 2002. Veysonnaz, villaggio turistico di montagna nella Svizzera francese, 1.200 metri di altitudine, è il paradiso degli sciatori, un paese in cui i bambini possono ancora vivere tranquilli. O così pare. Perché quella sera Luca Mongelli, 7 anni, il fratellino Marco, 4, e il loro cucciolo di pastore tedesco ancora non hanno fatto ritorno...

La madre, Tina, esce a cercarli e incontra proprio il cane Rocky, seguendo il quale si trova di fronte a una scena che non dimenticherà mai più: Luca è riverso sulla neve, privo di conoscenza e quasi del tutto spogliato. Accanto a lui gli indumenti: la giacca a vento, il maglione, la camicia di flanella - rovesciata perché è stata sfilata dall’alto -, la canottiera. Pantaloni e mutandine sono abbassati alle ginocchia. Il corpo è coperto di contusioni. Marco invece piange terrorizzato dietro un albero. Tina adagia Luca sulle proprie ginocchia e scivola, facendo da slitta per suo figlio, fino allo chalet più vicino. Marco, piccolino, la segue come può, di corsa, aggrappato a Rocky. I soccorsi arrivano ma a Sion, capitale del Cantone Vallese, l’ospedale non è attrezzato, così Luca arriva a Ginevra, dove per tutta la notte gli viene praticata un’emoperfusione termica che riporta a 33 gradi la temperatura del suo corpicino, precipitata a 19. Presto accorre anche il papà, Nico, che su quei monti ha portato a vivere i suoi cari dalla Puglia e con un ristorantino a conduzione familiare garantisce loro una vita che, fino a quel 7 febbraio, ha avuto il sapore della favola.Intanto a Veysonnaz un primo poliziotto decide che si è trattato solo di un incidente e torna alla base, mentre la gente del villaggio, incuriosita, accorre e calpesta le impronte: nessuno ha pensato a chiudere il perimetro, indizi sciolti come neve al sole. Ma il giudice Jves Cottagnoud ha già tutto chiaro e con efficienza svizzera il 23 maggio, tre mesi e rotti dopo il fattaccio, chiude l’inchiesta con una sentenza e un colpevole certo: «È stato il cane».In quei tre mesi Luca è rimasto in coma profondo. Nessuna speranza di ripresa, dicono i medici, che rilevano l’encefalogramma piatto e firmano un certificato di morte, mentre il giudice dispone l’autopsia e i genitori danno l’autorizzazione all’espianto degli organi. Ma in una storia in cui la verità supera qualsiasi fantasia, proprio il 23 maggio, lo stesso giorno in cui l’inchiesta è chiusa, Luca riapre gli occhi e incredibilmente parla: «Tre uomini mi hanno picchiato con bastoni». Ricorda tutto e risponde lucido, mentre un medico filma la sua testimonianza. Il giudice, però, non cambia idea: Luca - dice - non è credibile perché ha subìto un danno cerebrale, e a provocargli l’arresto cardiaco è stato Rocky, tenendolo nudo e immobilizzato sulla neve per 45 minuti. Ma il suo risveglio quel 23 maggio a qualcosa serve: nel pomeriggio il procuratore fa riaprire l’inchiesta chiusa al mattino.Il secondo magistrato (il primo ricusa l’incarico) dispone nuove perizie, ben sette, ma tutte "canine", orientando sempre e solo su Rocky i suoi sospetti. E poco importa che il perito dichiari sette volte che il cane non può aver spogliato il bimbo, che i graffi sul corpo di Luca non sono compatibili con zampe di cane, che un pastore tedesco se aggredisce poi azzanna (mentre su Luca non c’è traccia di morsi) e non immobilizza un essere umano al suolo per 45 minuti... Rocky resta l’unico colpevole, anche perché l’altro grande sospettato, in quanto presente sul luogo dell’aggressione, è Marco, e le perizie lo scagionano quasi subito in quanto «avrebbe potuto spogliare il fratello - racconta oggi ancora incredulo papà Nico -, ma non immobilizzarlo e mandarlo in arresto cardiaco». Nel marzo 2004 anche il giudice Nicolas Dubuis chiude l’inchiesta. E il colpevole? Giudicato pericoloso, nel 2002 è stato affidato... a un’altra famiglia, per di più con un figlio disabile, poi, a due anni dall’aggressione, viene "eutanasizzato". Sparite le impronte, ammazzato il cane.E Luca? Che ne è di lui da quando ha riaperto gli occhi? Lo splendido bambino, sano e felice, scolaro di seconda elementare nel villaggio fatato di Veysonnaz, da allora è cieco e tetraplegico, inchiodato a una sedia a rotelle. È tornato in Puglia con mamma e Marco (il papà, che per curarlo ha bisogno di tanti soldi, lavora ancora a Ginevra) ed è tuttora innamorato della vita, ma anche del latino e del greco, frequenta il primo anno di liceo classico e «va in giro per casa studiando rosa-rosae», sorride il papà. Una sola cosa non capisce: perché non vogliano credere ai suoi netti ricordi. Nemmeno il disegno che il fratellino Marco fece a scuola tre anni dopo l’aggressione fu preso in considerazione. «Eppure - ce lo mostra mamma Tina - si vedono chiaramente tre ragazzi con i bastoni, Rocky che ne morde uno, Luca a terra e Marco stesso nascosto dietro un albero. Noi sospettiamo di un branco di bulli, che secondo il giudice hanno un alibi, ovvero erano a scuola, ma stranamente proprio la pagina del registro presenze del 7 febbraio 2002 risulta strappata». Forse quel giorno un "gioco" tragico è finito male, come dimostrerebbe una gelatina verde trovata sul sederino del piccolo dai soccorritori, «che ancora non sono stati ascoltati da un giudice».Quasi dieci anni sono passati e Luca vuole giustizia. Chiede che il caso sia riaperto e si ammetta che «non è stato il mio cane a spogliarmi e riempirmi di botte». Chiede che alla sua tragedia non si aggiunga l’offesa della beffa. «Noi ci appelliamo all’Italia - dicono i genitori -, al ministro degli Esteri e a quello della Giustizia». Il tempo è agli sgoccioli: il 7 febbraio prossimo, secondo le leggi svizzere, il caso cadrà in prescrizione e allora ingiustizia sarà – definitivamente – fatta.

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