sabato 10 ottobre 2020
Questa domenica tornano i banchetti e i gazebo sparsi per le piazze e presso alcune catene commerciali, organizzati sia da CoorDown e da Associazione italiana persone Down
Down, il grido d’allarme delle famiglie: «Aiutateci a non scomparire»

CoorDown

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La qualità della vita delle persone con sindrome di Down (Sd) è stata messa a dura prova dalla quarantena. Se tutti abbiamo patito le restrizioni necessarie a contrastare la pandemia, le persone con Sd hanno sofferto per la mancanza di socializzazione e l’interruzione dei percorsi di integrazione scolastica e lavorativa.

Eppure hanno stretto i denti e – con la dedizione delle famiglie e la collaborazione delle associazioni – hanno potuto ripartire con le attività solite, con tanta grinta e abnegazione, ma spesso in maniera ridotta e con tanta fatica: a scuola mancano ancora molti insegnanti di sostegno e molti tirocini e contratti a termine si sono interrotti.

Oggi, in occasione della Giornata nazionale delle persone con sindrome di Down (#gnpd2020), tornano infatti in misura limitata – per le misure anti-Covid – i banchetti e i gazebo sparsi per le piazze (e presso alcune catene commerciali) e organizzati sia da CoorDown onlus (che rappresenta 59 associazioni) sia dall’Associazione italiana persone Down (Aipd, con 54 sezioni) dove, dietro versamento di un piccolo contributo, viene distribuito cioccolato dal commercio equo e solidale. E sono diffuse informazioni sulla vita delle persone con Sd e sulle attività di sostegno svolte dalle associazioni, che vivono oggi mille difficoltà.

Di qui la campagna di CoorDown "Aiuta le nostre associazioni a non scomparire per sempre", con una richiesta fondi straordinaria. «Noi – spiega Elisa Orlandini, vicepresidente di CoorDown – viviamo di volontariato, soprattutto dei genitori, ma gli operatori vanno pagati, e le convenzioni con enti pubblici sono poche. Se le famiglie hanno risentito dei contraccolpi della pandemia, magari perdendo il lavoro, vengono a mancare le condizioni per appoggiare le attività associative. Anche il supporto delle grandi aziende si è ridotto. Per tante realtà il rischio d’estinzione è alle porte».

Un esempio del lavoro di affiancamento alla crescita delle persone con Sd viene da Down Dadi onlus di Padova. Racconta Elisa Orlandini: «Organizziamo i percorsi verso l’autonomia sin da quando i bambini hanno 9-11 anni, affiancati da supporti educativi adatti alle diverse età. Grazie alla disponibilità di alcuni appartamenti in città (le "case palestra"), i bambini e poi ragazzi e giovani vengono aiutati a rendersi sempre più autonomi fino a quando, in età giovanile-adulta, possono essere indirizzati verso progetti di vita indipendente. Grazie al supporto delle famiglie, abbiamo aperto due appartamenti, Casa Antenore e Casa Petrarca, in centro città, dove vivono in autonomia alcune persone con Sd, con minori o maggiori livelli di autonomia, e la visita più o meno saltuaria di un operatore dell’associazione. Con il lockdown hanno dovuto essere chiuse, con rientro delle persone nelle famiglie di origine: un passaggio destabilizzante. Poi sono state riaperte, con il rispetto di tutte le norme sanitarie anti-Covid, ma molti hanno compiuto passi indietro».

I frutti di queste attività, sviluppate da tutte le associazioni, si sono visti nell’indagine "Ora parlo io" (lanciata prima in Italia e poi divenuta internazionale tra il 2019 e il 2020) fondata su interviste a 2.500 persone con Sd tra i 14 e i 65 anni: non solo il 71% di loro si dichiara felice della propria vita, ma il 78% di coloro che hanno un lavoro ne è contento e l’81% di chi non ce l’ha vorrebbe trovarlo; inoltre il 72% ha consapevolezza di avere la sindrome di Down e l’83% di loro va a votare.

«Per le persone con disabilità intellettiva, le cui conquiste per essere accettate come studenti, lavoratori o cittadini sono frutto di un lavoro di decenni, questa reclusione ha riportato tutto indietro, si sono spenti i fari sulle loro esigenze – osserva Orlandini –. Abbiamo cercato di sfruttare tutti i mezzi tecnologici per ricontattare i ragazzi a casa, gli educatori si sono fatti in quattro (anche se molti sono finiti in cassa integrazione) per tenere attivi i ragazzi, per l’aspetto sia cognitivo, sia fisico. Però la socializzazione nelle persone con Sd è uno strumento straordinario per ogni apprendimento, non solo scolastico. Fare qualcosa insieme con altri è fondamentale. E questo mancava».

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