giovedì 22 dicembre 2016
Prima della “riconversione” il capannone della famiglia Ceselli, vicino a Tolentino, è stato un centro d'accoglienza per chi non aveva più un tetto: «Ci siamo messi nei loro panni»
La chiesa-garage di Tolentino durante la celebrazione della Messa, domenica scorsa

La chiesa-garage di Tolentino durante la celebrazione della Messa, domenica scorsa

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La croce e la statua della Madonna dietro l’altare. Le sedie disposte a semicerchio. Il brusio dei bimbi che si preparano alla Messa. Sulle destinazioni d’uso del garage di Cristiano Ceselli, nella frazione Le Grazie di Tolentino, si potrebbe scrivere un libro. Per questo Natale sarà una chiesa. Tolentino – 20mila abitanti, di cui 11mila sfollati – su 12 chiese che aveva, ne conta appena 2 agibili. «E la gente, che qui è disperata e stanca, Dio vuole incontrarlo, deve poterlo incontrare», spiega lui. Fino a due settimane fa il suo capannone era un centro d’accoglienza per i terremotati delle Marche: 35 famiglie ospitate a tempo indeterminato, riunite attorno a un tavolo, accolte come si poteva, ma dignitosamente. La Protezione civile aveva dato le brande, un locale vicino la macchina del caffè per le colazioni. S’era approntata una cucina, dei servizi igienici, dato una bella mano di bianco alle pareti. Quando anche gli ultimi ospiti se ne sono andati, al 20 di novembre, Cristiano s’è trovato da solo a pulire il pavimento.

Cosa posso fare per gli altri, di cosa avrei bisogno se fosse successo a me. Le parole continuano a girare in testa, ormai dal 24 agosto. Saverio, che fra i tre figli di Cristiano è quello di mezzo, coi suoi dieci anni non riesce a capire: «Papà, perché dobbiamo fare tutto questo?», gli ha chiesto una sera a tavola. «Io proprio non capisco». Sarà per via del camper, per cui il garage-capannone era stato costruito, nel lontano 2009. Quel camper, per la famiglia Ceselli, era un sogno che diventava realtà (oltre che un mutuo acceso in banca). Ma il sogno non aveva fatto i conti col terremoto dell’Aquila e con la prima “chiamata” arrivata a Cristiano dal cuore: dare un tetto a una famiglia che aveva perso tutto. Così il camper, nuovo di zecca, era partito alla volta del cratere. E laggiù era rimasto per oltre un anno.


«No, Saverio non lo capisce, e forse è giusto così, forse dobbiamo ascoltare anche il suo disagio, il suo bisogno», spiega Cristiano alla moglie. Quindi si chiude il capannone? «Mai». Sarebbe come chiudere le porte, sarebbe come cedere alla logica delle “cose”, come la chiama lui: «Quella per cui se il terremoto ti ha portato via la casa la tua vita è finita». Invece no. Un’altra casa ci sarà. «E se non posso ridartela, allora ti ospito. E se non hai più bisogno di ospitalità, ti restituisco la chiesa. Che poi è dove Cristo si fa presente, il luogo da cui dobbiamo ricominciare tutti».

Cristiano chiama don Andrea Leonesi, il parroco della contrada: «Io ci metto il capannone, tu fai il resto. Non sarà la nostra San Nicola (la basilica simbolo della città, compromessa dalla scossa del 30 ottobre, ndr) ma che dici?». Il patto è siglato in poco meno di 48 ore, con l’assenso della diocesi. Il vicinato ci mette i materiali, le braccia. Serve un piccolo bagno, realizzato dall’idraulico (anche lui sfollato). Servono sedie, almeno cento.


Non ci vengono solo i fedeli, nella chiesa-garage di Cristiano, ma anche i bimbi del catechismo: lo spazio è aperto il sabato e la domenica, a tutti. Fuori, accanto all’ingresso, c’è anche un presepe: «L’abbiamo fatto col mio vicino, abbiamo recuperato una capannuccia che aveva costruito mio suocero prima di morire». Il filo di luci, le statue, la stella cometa. La gente si ferma a pregare, o a sorridere. Si dimentica, d’entrare in un capannone. E anche del camper, che resta parcheggiato lì fuori, un po’ trascurato. Doveva andare a un’altra famiglia di sfollati, ma alla fine non ne hanno avuto bisogno. Adesso è lì ad aspettare un altro terremoto. Come il garage: «Domani, quando tutto questo sarà finito, chissà», dice Cristiano sorridendo. Ha già un’idea, ma non vuol dirla.

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