venerdì 27 marzo 2020
Vogliono sfogarsi online o magari cercano l’abbraccio di una comunità più grande. Tra loro anche gli infermieri: «Ci mancano ancora le protezioni»
Bare nella chiesa di San Giuseppe a Seriate, Bergamo

Bare nella chiesa di San Giuseppe a Seriate, Bergamo - Ansa

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La Spoon River di Bergamo incide il suo atroce dolore anche sui social. Come lapidi digitali, i post su Facebook raccontano gli ultimi giorni di tante, troppe vite falciate dal Covid-19. Si scrive per sfogare la sofferenza, per cercare e trovare conforto nell’abbraccio della comunità virtuale, adesso che non se ne può ricevere uno vero. Ma si scrive anche per chiedere che sia fatta chiarezza su un’epidemia che qui, più che altrove, è divampata in modo tanto veloce quanto violento.

Il gruppo “Noi denunceremo – dovranno pagare” ha raccolto 10.600 membri in pochi giorni. Nonostante l’apparente piglio accusatorio, è raro trovare una caccia al colpevole. Gli amministratori spiegano che l’iniziativa è tesa ad ottenere giustizia, non certo vendetta. Chi interviene si domanda se quanto è accaduto e sta accadendo sia normale, se non ci siano responsabilità da accertare. A Bergamo se lo chiede anche qualche avvocato di fama, rimarcando il «silenzio inspiegabile» della procura quando altrove, di fronte a scenari molto meno gravi (Sassari, ad esempio), sono già state aperte inchieste per far luce sull’esplosione del contagio.

In attesa che la giustizia muova i suoi passi, le persone raccontano le loro tragedie, aprendo interrogativi destinati a restare a lungo senza risposta. Nel frattempo si affidano angosce e dubbi alla Rete, come messaggi in bottiglia in attesa che qualcuno, prima o poi, li raccolga. Ne esce un quadro allarmante. «La situazione non è per niente sotto controllo – spiegava in un video del 13 marzo Paolo, infermiere domiciliare –. Molti muoiono in casa, senza riuscire a ricevere assistenza. Io ricevo chiamate ogni 30 secondi e vado ovunque. Porto bombole e farmaci. Ma ci mancano le protezioni, nessuno ci dice dove e come trovarle. Io me le sono procurate da solo».

I numeri ufficiali parlano di un migliaio di morti in tutta la provincia. Ma secondo i sindaci sono molti di più. Perché tanti perdono la battaglia contro il male nel proprio letto, senza finire nel macabro conteggio. Sono i caduti delle case, ma anche delle Rsa. Stefania M. piange la mamma: «Era ricoverata in una struttura per anziani, da 20 giorni non la vedevo più. L’ultima volta l’ho potuta salutare da dietro una finestra. Nel giro di 10 giorni ci sono stati 7 decessi su 30 ospiti». Proprio all’interno delle Rsa si è consumato il dramma nel dramma: tanti operatori si sono ammalati e i pazienti sono rimasti soli contro il virus. Uno dei grandi errori iniziali, secondo l’Ordine dei medici di Bergamo, è stato lasciare aperti i centri diurni all’interno delle struttu- re, spalancando di fatto le porte al contagio. Da un “post” all’altro, il dolore scorre senza fine.

Tamara D. racconta così la tragedia del padre: «Dopo due pacemaker, aveva superato anche un tumore alla prostata. Poi arriva il Covid–19, si ammala l’11 marzo. Nonostante la febbre a più di 39 e le innumerevoli chiamate, il medico di base non va nemmeno una volta ad auscultarlo. Mia madre chiama il 112 due volte e niente. Se non ci sono difficoltà respiratorie non escono ». Poi la crisi. Arriva l’ambulanza e lo porta via. L’anziano ora è in condizioni critiche. Tamara conclude: «Una dottoressa mi ha chiesto: come mai avete aspettato tanto a ricoverarlo?». La lente è puntata anche sull’ospedale di Alzano, dove il pronto soccorso fu chiuso e poi riaperto dopo il primo caso. Ecco la testimonianza di Sabrina B. su quella maledetta domenica 23 febbraio: «Sono andata da mia madre in ospedale (ricoverata per radioterapia, ndr) con il mio compagno e mio figlio per portarle alcune cose che le servivano. Appena entrati abbiamo subito percepito che qualcosa non andava, ma nessuno ci ha fermato. Arrivo fino alla porta del reparto e la trovo chiusa. Nel frattempo mi arriva un sms da mia madre: mi dice che avevano fatto uscire tutti i parenti. Lei è rimasta intrappolata lì». Senza poter dire addio ai suoi cari, come molti altri. «Il 15 marzo se ne è andata sola, con addosso il suo pigiama. Ora è in provincia di Alessandria ad aspettare la cremazione».

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