venerdì 8 luglio 2016
La città di Fermo si stringe attorno alla giovane nigeriana. ​Lacrime e canti durante la preghiera. «L’anima di mio marito riposi in pace». (Antonio Maria Mira)
EDITORIALE Non siamo razzisti, ma i razzisti ci sono (Paolo Lambruschi)
 
Emmanuel, l'Italia vicina alla compagna
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«L’unica cosa che ho da dire è che provo un dolore terribile. Spero che l’anima di mio marito riposi in pace e sia fatta giustizia nel modo migliore possibile». Sono le poche parole che in inglese e tra le lacrime riesce a dire Chinyery, la moglie di Emmanuel. Piange la giovane nigeriana, assediata da giornalisti e telecamere, ripetendo «my husband, my husband», «mio marito, mio marito». Prova a raccontare il loro dramma, la Libia, le violenze, il viaggio nel barcone, la perdita del bambino che aveva in grembo, ma anche l’arrivo a Fermo. «Ci hanno accolti, dato cibo e vestiti. Ringrazio tutti». Non riesce a dire di più. E allora ci aiuta a capire suor Filomena, delle Piccole sorelle Jesus Caritas, cinque suore che seguono i migranti ospitati dalla Fondazione Caritas in Veritate. Ventinove anni, laureata in lingue e con un master in didattica dell’italiano per gli stranieri, è lei che ha seguito per mesi la coppia, in particolare Chinyery. «Siamo diventate amiche, mi chiama my sister, sorella mia». Ci racconta del «pestaggio che hanno subito in Libia prima di partire da un gruppo di uomini incappucciati. Per questo ha perso il bambino». Erano in 140 sul barcone, hanno navigato per quattro giorni «e lei perdeva sangue in continuazione». Poi la salvezza di una nave italiana, l’arrivo in Sicilia e poi la nuova vita a Fermo.

«Stavano sempre insieme – ricorda suor Filomena – si chiamavano 'papà' e 'mamma'. Emmanuel diceva 'me la porto sulle spalle come uno zainetto'». «Sempre appiccicati come due cozze», scherza don Vinicio. E ricorda come «in tante occasioni siano andati a dare testimonianza nelle parrocchie». «Davvero erano contentissimi – aggiunge suor Filomena – . E poi tre giorni fa Chinyery aveva trovato un lavoro come badante». Già, malgrado tutto erano felici. Come nel giorno del rito della promessa di matrimonio. Quella foto finita su tutte le prime pagine. Giorno emozionante. «Lei leggeva a lui quello che doveva dire nella cerimonia». E pansavano al futuro. «Chinyery sognava di venire in Italia e di proseguire gli studi in medicina. Ora ha promesso che lo farà per Emmanuel. Glielo ha promesso». Ad aiutarla arriva la buona notizia di don Vinicio. «L’università di Ancona ti offre una borsa di studio per proseguire». Ma è un attimo perché tutto torna a quel momento terribile. Chinyery non si voleva arrendere. Neanche quando le hanno spiegato che il marito era in coma irreversibile. «Ha sempre sperato – racconta ancora suor Filomena –. E in ospedale pregava: 'Dio so che mi ascolti e ridarai lo spirito a Emmanuel, la sua vita'. La giovane «prega molto, da sempre». E canta. Come nella veglia di preghiera di giovedì seta. Un canto, un dialogo con Dio, uno sfogo. Un pezzo d’Africa in terra italiana. «Mio Dio dove sei? Perché mi hai lasciata sola in questo mondo cattivo?».

È proprio sola Chinyery, che ha perso un bimbo e tutti i familiari per la follia omicida di Boko Haram, un altro bimbo nel viaggio della speranza, e il marito nella terra che desiderava. «Tornare indietro non può, non ha più nessuno. Ma vuole che Emmanuel sia sepolto in Nigeria», ci rivela suor Filomena. E ha anche un altro desiderio. «Mi ha detto: 'Voglio andare in carcere a trovare chi ha ucciso Emmanuel per chiedere perché lo hai fatto?'». Anche suor Filomena non riesce a nascondere dubbi e domande. «È un’ingiustizia, un accanimento. Loro sono gli uomini e le donne della speranza. Questo ci insegnano. Hanno una vita senza prospettiva, eppure li vedevo sempre positivi e sorridenti». Come le scritte che i migranti hanno scritto su un muro del Seminario che ne ospita più di cento. «Cristiani e musulmani pregavano insieme». «Viviamo come avviene in una famiglia...ci rispettiamo». Ma c’è anche una scritta che mette tristezza. «Molti non sono mai arrivati». Emmanuel e Chinyery malgrado «le grandi difficoltà», come le chiama lei, erano arrivati ed erano felici.

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