giovedì 16 luglio 2020
Un e-book analizza le mutazioni del virus e la sua pericolosità, da Wuhan a Milano
Il Covid? In business, non sul barcone
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Pubblichiamo un’anticipazione dal libro “Il virus è mutato”, di Massimo Ciccozzi, epidemiologo dell’Università Campus Biomedico di Roma, e Paolo Viana, inviato di Avvenire. Euro 2,99. © 2020 Mondadori Libri S.p.A. per il marchio Piemme. Ebook in vendita su: https://www.edizpiemme.it/libri/il-virus-e-mutato

Ammettiamolo. La prima Sars ci aveva abituato troppo bene. Pochi contagi, pochissimi morti. Ovviamente, rispetto al Covid- 19. Il maggior tasso di letalità di quell’epidemia e la minore contagiosità del virus avevano concorso a limitarne la diffusione. Anche allora, tuttavia, la scienza aveva ben chiaro cosa fare. Il medico italiano Carlo Urbani, che lavorava per l’Oms, ideò e fece applicare un protocollo di misure che adattavano alla mobilità delle persone il concetto di quarantena.

Eravamo nel pieno della globalizzazione e una pratica igienica inventata dai Visconti nel Trecento funzionava ancora. Il lockdown è figlio di quell’impostazione e ha il suo contraltare nella globalizzazione dei traffici, vera marcia in più delle pestilenze moderne. La mobilità, all’inizio dell’infezione, ha scatenato una caccia all’untore, immediatamente individuato in chi è povero, senza patria, senza lavoro e tendenzialmente sporco e ignorante. Avviene da sempre.

Peccato che questa volta i numeri dimostrino il contrario. I migranti censiti nel 2017 sono 257 milioni. Un esercito di disperati pronti a violare qualsiasi confine per sfuggire alla fame e alla guerra. Di solito, non si scappa con il termometro in mano. Inevitabile pensare che una cosa “sporca” come un virus si accompagni a un movimento di corpi sudati, feriti e indifesi. Ma questa volta parliamo di quelli “puliti”: i turisti che hanno preso un aereo o una nave nel corso dell’anno spendendo fior di quattrini sono stati 1,4 miliardi, quasi sei volte il numero di migranti.

Anche quando si paga il biglietto non si fa caso a qualche linea di febbre. E ogni anno i passeggeri dei voli aerei sono 7,1 miliardi. Anche il coronavirus preferisce la prima classe di un Boeing alla stiva di un barcone. Il primo caso accertato di Sars-CoV-2 è arrivato in Italia insieme a due turisti cinesi, sbarcati a Malpensa il 23 gennaio e ricoverati a Roma nei giorni successivi. Le ricerche filogenetiche del Campus Bio-Medico di Roma hanno dimostrato, però, che la diffusione del coronavirus nel nostro Paese non è stata colpa loro, ma di un viaggiatore che ha importato quest’infezione dalla Germania alla Lombardia. Dalla Germania, non dalla Libia... Anche le analisi di laboratorio assolvono profughi e clandestini.


Le ricerche del Campus Bio-Medico di Roma hanno dimostrato che la diffusione del coronavirus si deve a un viaggiatore che ha importato l’infezione dalla Germania

Quelli infetti possono essere il 25,4% ma «non sono state trovate evidenze di alti tassi di trasmissione dalle popolazioni migranti alle comunità residenti nei Paesi ospitanti ». Al contrario, come scrive Giancarlo Ceccarelli (Policlinico Umberto I di Roma), fra i turisti «i tassi di acquisizione di enterobatteriacee multi-resistenti (mdr) variano dal 21% al 51%». Inoltre, «i viaggi in Asia e nel subcontinente indiano presentano i maggiori rischi», con tassi di colonizzazione che raggiungono anche l’85%. Il tema è particolarmente invitante per gli studi filogenetici.

Non a caso, si è già iniziato ad arare il terreno. Si indagano le mutazioni dei singoli ceppi virali riscontrate nel passaggio da un’area all’altra. I cinesi ci stanno lavorando: «Le analisi epidemiologiche e filogenetiche» affermano «indicano molteplici introduzioni indipendenti nel Guangdong. I nostri risultati illustrano come i tempi, le dimensioni e la durata delle presunte catene di trasmissione locale siano state limitate dalle restrizioni di viaggi nazionali e dalle misure di monitoraggio e intervento intensivo su larga scala della provincia».

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