giovedì 2 settembre 2010
Roma, al consultorio negano: mai spinto per l’aborto. Ma ammettono: non conosciamo centri di aiuto alla vita. Dopo la denuncia di Avvenire i funzionari comunali si difendono: forse Teresa ha equivocato. Riconoscono però di non avere saputo dare le risposte che la giovane si attendeva da loro.
- Donne sole, consultori da riformare di M. Corradi
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«Centri di aiuto per la vita? Non sapevo nemmeno cosa fossero prima che la ragazza me ne parlasse». Al dipartimento per i Servizi Sociali del XX municipio capitolino cadono dalle nuvole. Nulla sanno delle iniziative per sostenere le ragazze incinte che non vogliono abortire. All’inizio sono anche restii a parlare, ma negano comunque tutto. La storia di Teresa, rivoltasi a loro al terzo mese di gravidanza, senza casa e senza lavoro, a cui è stata prospettata come soluzione l’aborto, la raccontano in maniera diversa.«Non è possibile che uno dei nostri operatori abbia dato una risposta del genere». Il funzionario provvisorio del servizio (qui si attende ancora la nomina del responsabile) non ha dubbi. Qui non facciamo miracoli certo, continua, ma «non abbiamo motivo di spingere una donna ad abortire». In sostanza si cerca di fare quel che si può, convivendo con la scarsità dei fondi, tra l’altro vincolati ad un «progetto sociale» e con tempi di erogazione epocali. «Non è poi così raro – continua – che gli utenti reagiscano nelle maniere più disparate, quando si aspettano delle risposte che per motivi di risorse o altro, non siamo in grado di dare». Secondo lui, cioè, Teresa avrebbe nel migliore dei casi frainteso le parole dell’assistente sociale, oppure addirittura inventato la soluzione dell’interruzione di gravidanza «perché si aspettava qualcosa di diverso da noi».Parlando con la diretta interessata, l’assistente sociale che segue Teresa, la replica imbastita di diplomazia è sempre la stessa. Il racconto della ragazza, secondo lei, è «strumentale». Ma a cosa? Ad ottenere qualcosa in più? «Le motivazioni possono essere molte – dice in maniera evasiva – sta di fatto che io non ho mai accennato nel colloquio con Teresa all’aborto, è stata lei ad informarmi che aveva anche pensato a questa soluzione, ma che non aveva avuto il coraggio di farlo. Perché avrei dovuto riproporglielo?». Il nostro modo di operare, aggiunge, è «quello dell’autodeterminazione della persona, noi vagliamo tutte le soluzioni partendo dalla rete familiare, amicale e delle strutture di accoglienza madre-bambino». Fatto sta però, che pur avendo trovato per lei una struttura provvisoria per due mesi, ora Teresa deve ringraziare il Centro di aiuto per la vita se ha una tetto semi definitivo e un medico. In più per avere un sussidio si dovrà aspettare di «pianificare con la ragazza un progetto, un percorso, i fondi dipenderanno da questo – conclude – anche i tempi di erogazione sono variabili».Aspettando la burocrazia, intanto, Teresa ha incontrato la sua buona stella, un amico vicentino che, tramite facebook, le ha fatto conoscere le volontarie del Cav e che ha donato al centro alcuni fondi per il suo bambino. «Da noi ha ritrovato il sorriso e la speranza – racconta Francesca Siena del Cav –. La prima volta che l’ho incontrata era spaventata. Poi l’abbiamo sistemata in una casa-famiglia, ora ha un ginecologo che la segue gratis ed è stata inserita nel progetto "Madre Teresa" per cui avrà 250 euro al mese per un anno, oltre a tutti i beni materiali per suo figlio fino al quarto anno di vita». Alla sua versione qui credono tutti, soprattutto perché «non è la prima futura mamma che racconta una storia del genere – prosegue Francesca –. Noi sconsigliamo sempre alle donne in gravidanza di rivolgersi ai servizi sociali prima della dodicesima settimana. Troppa la paura che le inducano, come è già successo, ad abortire».
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