giovedì 29 agosto 2013
Memoria di Berlusconi alla Giunta del Senato che dovrà votare sulla decadenza. Otto giuristi: legge Severino incostituzionale. Pronto anche un ricorso a Strasburgo. Nei pareri il no alla retroattività della sanzione e il sospetto di violazione della Carta: «È un vulnus all’autonomia delle Camere»​.
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La carta giocata da Silvio Berlusconi per evitare la spada di Damocle della deca­denza da senatore o quantomeno per prendere tempo provando a far spostare in a­vanti il pronunciamento del Senato, ha la ve­ste formale di una memoria difensiva, conse­gnata ieri mattina alla Giunta per le elezioni di Palazzo Madama, che dovrà pronunciarsi sul­la questione, dopo la condanna definitiva del­la Cassazione nel processo Mediaset, che ha innescato la procedura di de­cadenza e incandidabilità prevista dal decreto legislati­vo 235 del 2012, meglio noto come legge Severino. I sei pa­reri pro veritate allegati alla memoria, stilati da otto giuri­sti di vaglia, evidenziano dub­bi di costituzionalità riguardo all’applicazione della norma­tiva in questione, proponen­do che la Giunta stessa so­spenda i lavori in attesa che tali dubbi siano sciolti dalla Consulta. Le voci sulla mossa del Cavaliere si erano diffuse dal primo mattino, ma la conferma è arrivata poco dopo le 15, quando Dario Stefàno (Sel), presidente della Giunta, ne ha dato notizia al­le agenzie: «Il senatore Berlusconi – ha riferi­to – ha presentato la propria documentazio­ne difensiva per il procedimento avviato per l’incandidabilità sopravvenuta». La memoria è stata trasmessa entro il termine ultimo pre­visto, ossia ieri, ed è aperta da una breve let­tera dell’ex premier, di alto profilo istituzio­nale: «Per il rispetto dovuto al delicato e com­plesso lavoro in corso di svolgimento – è la chiosa finale della missiva – e anche per la pe­culiarità e novità della norma sottoposta a giu­dizio si ritiene, allo stato, di non esplicare al­cuna ulteriore osservazione».
IL RICORSO A STRASBURGO
Nessuna dichiarazione di guerra, anzi il tono della missiva è formale e rispettoso: consigliato dai suoi avvocati, Berlusconi ha scelto una doppia linea, comunicando anzitutto all’or­ganismo del Senato che presenterà ricorso al­la Corte europea di Strasburgo per «pacifica violazione dei principi» dell’articolo 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, impegnandosi a trasmettere alla Giunta entro il 9 settembre copia del ricorso, «attualmente in fase di redazione». Una strada che si preve­de comunque lunga e complessa, spiega chi conosce le procedure che presiedono a quel tipo di ricorsi. L’articolo 7, intitolato «Nulla poena sine lege», al primo comma, ribadisce l’irretroattività dell’azione penale («Nessuno può essere condannato per una azione o una omissione che, al momento in cui è stata com­messa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale»), specificando che «parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso».
I DUBBI DI COSTITUZIONALITÀ
Ma l’architrave della memoria difensiva è co­stituita dai sei pareri pro veritate allegati, ri­chiesti da Berlusconi a otto docenti universi­tari. Tre sono firmati dai penalisti Giorgio Spangher, Gustavo Pansini e Antonella Ma­randola. Gli altri tre da noti costituzionalisti: Giovanni Guzzetta; Roberto Nania; e l’ultimo siglato a sei mani da Beniamino Caravita di Toritto, Giuseppe De Vergottini e dal membro laico del Csm, in quota Pdl, Nicolò Zanon. Le argomentazioni dei giuristi, seppur con di­verse sfumature, evidenziano alcuni «profili di problematicità» della legge Severino, a par­tire dall’applicazione della misura della deca­denza dal mandato parlamentare per soprag­giunta condanna definitiva. Si tratterebbe di una misura retroattiva, sostengono, in con­trasto col principio giuridico sancito dal se­condo comma dell’articolo 25 della Costitu­zione («Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore pri­ma del fatto commesso»). E a chi ritiene che la retroattività non si applichi a norme ammi-­nistrative, come quelle della legge Severino, i giuristi oppongono un’interpretazione se­condo la quale sul suo carattere penalistico non sussisterebbero dubbi, poiché «fa conti­nuo riferimento a elementi di diritto penale sostanziale e processuale» e presenta caratte­re «afflittivo», in quanto «incide su un bene fondamentale come l’elettorato passivo». La legge di delega, incalza Guzzetta, «non con­tiene alcuna indicazione e­spressa che prescriva un’ap­plicazione retroattiva della di­sciplina ».
LESE LE PREROGATIVE DEL PARLAMENTO
I costituzionalisti osservano i­noltre come il decreto legisla­tivo 235 non abbia tenuto con­to della copertura costituzio­nale accordata a deputati e se­natori, ponendo problemi di conflitto col dettato dell’arti­coli 65 e 66 della Costituzione. Ad esempio, Caravita, De Ver­gottini e Zanon ritengono che l’incandidabilità pro futuro, sopravvenuta ad elezioni già svolte (che determinerebbe la de­cadenza del parlamentare dal seggio ricoper­to in virtù del risultato elettorale) sia il «risul­tato di una scelta assai radicale e di particola­re rigore, che estende con qualche difficoltà alle elezioni politiche, le disposizioni già vi­genti per quelle locali e regionali». Ancora, no­nostante richiami l’articolo 66 della Carta («Ciascuna Camera giudica sui titoli di am­missione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte d’ineleggibilità e incompatibi­lità »), l’articolo 3 della legge Severino si por­rebbe con esso in palese contrasto: se il Sena­to fosse chiamato a una mera presa d’atto, vo­tando necessariamente sì alla decadenza dal seggio del parlamentare condannato, ciò coz­zerebbe frontalmente contro la libertà di de­terminazione del Parlamento. Secondo i pa­reri, poi, il testo varato l’anno scorso avrebbe superato i limiti della delega: parlando di «de­cadenza di diritto», avrebbe minato la facoltà di decidere delle Camere, entrando in colli­sione aperta col succitato articolo 66.
LA GIUNTA? «PUÒ ADIRE LA CONSULTA»
Infine, i giuristi concordano sulla possibilità che la stessa Giunta per le elezioni del Senato possa sollevare tali dubbi di costituzionalità davanti alla Consulta. La legge, ricordano, pre­vede che tali questioni possano essere solle­vate nel corso di un giudizio davanti a un’au­torità giurisdizionale. E si rifanno ad «una chia­ra giurisprudenza costituzionale» che, seppu­re in materia elettorale, consentirebbe di at­tribuire alla Giunta la qualifica di giudice a quo.
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