venerdì 7 gennaio 2011
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E' ancora pressing diplomati­co per la risoluzione del caso eritreo. «Serve un fronte co­mune tra Egitto, Israele e Autorità palestinese. Dobbiamo lavorare perché un dramma come quello che si sta consumando sul Sinai non si ripeta più» osserva il sacer­dote eritreo don Mosé Zerai. La vi­cenda dei profughi tenuti in o­staggio a Rafah resta aperta, ma nel frattempo non si ferma l’azio­ne di sensibilizzazione della co­munità internazionale affinché si faccia carico della sorte di migliaia di migranti in fuga nel deserto. «A­desso c’è da salvare la vita di 50 persone, tra cui 6 donne in forte pericolo – continua don Mosé –. All’inizio io speravo nell’iniziativa del governo egiziano, ma i segnali arrivati sono stati tutt’altro che ras­sicuranti ». Il riferimento non è so­lo al doppio scontro a fuoco che ha fatto due vittime, un poliziotto di Rafah e un giovane eritreo, se­gno evidente della crescente ten­sione intorno al luogo in cui sono detenuti gli eritrei. Don Mosé e al­tre Ong pensano anche all’impo­nente dotazione di armi a disposi­zione dei trafficanti, maggiore ad­dirittura di quella utilizzata dalle forze dell’ordine egiziane. A questo proposito, proprio ieri u­na delle organizzazioni non go­vernative in prima linea per la li­berazione degli ostaggi, il gruppo EveryOne, è riuscita a entrare in contatto con un funzionario di po­lizia di Rafah, a cui ha chiesto con­to dei motivi dell’inerzia degli a­È genti nei confronti dei trafficanti. «Il problema è che sono armati e organizzati molto meglio di noi – è stata la risposta –. I trafficanti hanno moderni kalashnikov, men­tre le forze di polizia sono costret­te a operare con armamento leg­gero » in virtù di un accordo sotto­scritto tra Egitto e Israele più di trent’anni fa, finalizzato alla de­militarizzazione delle zone di con­fine vicino al Sinai. Ciononostante la polizia di fron­tiera ha effettuato diverse opera­zioni, arrestando numerosi grup­pi di africani, che sono stati de­nunciati per ingresso illegale, in­terrogati e incarcerati. Sono in tut­to 26 le persone tuttora detenute nelle prigioni locali. «L’Egitto sem­bra essere a caccia non di traffi­canti ma di profughi» osserva don Mosé. Che poi chiama in causa di nuovo l’Europa. «Non basta un ri­chiamo generico al Cairo da parte dell’Europarlamento, ma è neces­sario offrire possibilità per dare a­silo a chi è in fuga dalla guerra. Ser­ve davvero un percorso legale completo all’insegna dell’acco­glienza dei richiedenti asilo afri­cani ». Il rischio è che invece eri­trei, etiopi e somali nelle mani dei trafficanti vengano poi riconse­gnati alle autorità dei Paesi di pro­venienza. Sul campo, la situazione resta drammatica: le bande di beduini hanno il controllo assoluto del ter­ritorio, grazie anche a una serie di sottoclan, circa un ventina, che nelle scorse settimane ha sposta­to più volte gli ostaggi da un na­scondiglio all’altro.
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