giovedì 5 maggio 2022
Il cardinale si difende dall’accusa di peculato («non un centesimo a mio fratello») e spiega che gli investimenti furono fatti con fondi della Segreteria di Stato
Il cardinale Angelo Becciu in un'immagine d'archivio

Il cardinale Angelo Becciu in un'immagine d'archivio - Ansa

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Due ore e mezza per leggere 50 cartelle di dichiarazione spontanea. E più o meno lo stesso tempo per rispondere alle domande del promotore di giustizia, Alessandro Diddi (che non ha neanche finito il suo interrogatorio; si proseguirà il 18 maggio).

Così il cardinale Angelo Becciu ha respinto ieri tutte le accuse a suo carico nel processo in corso in Vaticano che lo vede imputato a vario titolo. Peculato per i 125mila euro inviati alla diocesi di Ozieri? «Non un centesimo è andato a mio fratello Tonino». Finanziamento degli investimenti come l’acquisto del Palazzo di Londra con i soldi destinati ai poveri? «L’Obolo di San Pietro non c’entra. Erano fondi riservati della Segreteria di Stato». Perché proprio l’immobile londinese? «Perché l’ufficio aveva magnificato la proposta d’investimento e la sua convenienza era stata avallata anche dal capoufficio monsignor Alberto Perlasca».

Inoltre, a che scopo furono date somme di denaro a Cecilia Marogna? Il cardinale, ringraziando il Papa per averlo dispensato dal segreto pontificio, ha detto che erano dirette per il tramite della donna a un’agenzia inglese di intelligence, Inkerman, che poteva interessarsi alle sorti della suora colombiana Gloria Cecilia Navaes Goti, rapita in Malì il 7 febbraio 2017 e rilasciata lo scorso 10 ottobre. Lo stesso porporato, dopo aver ottenuto il permesso del Papa che lo vincolò appunto alla massima riservatezza («dobbiamo saperlo solo io e te», gli disse secondo quanto riferito ieri in aula dall’imputato), si recò a Londra per un incontro con gli emissari di Inkerman, presente Marogna. Non si tratta però di un compenso alla signora, che eventualmente avrebbe ricevuto un premio a liberazione avvenuta.

Becciu ha anche smontato l’addebito di aver finanziato «false testimonianze in danno del cardinale Pell (accusato in Australia di pedofilia e poi riconosciuto innocente, ndr), con i soldi della Segreteria di Stato». E a tal proposito ha citato una lettera del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, in cui si testimonia che i 2,3 milioni di dollari australiani servirono in realtà all’acquisto del dominio Internet “.catholic”. E che «ad autorizzare il pagamento di detta somma fu proprio il cardinale Pell, con una lettera datata 11 settembre 2015».

Infine il porporato ha respinto l’accusa di subornazione, cioè di aver fatto pressioni per far ritrattare monsignor Perlasca. «Ho solo chiamato monsignor Cantoni, vescovo di Como (la diocesi di origine di Perlasca, ndr), esprimendogli tutto il mio dispiacere nell’apprendere che quegli raccontava falsità e dicendogli che se veramente Perlasca aveva detto quanto leggevo sui giornali, sarei stato costretto, con profondo dolore, a tutelare la mia onestà, e quindi, mio malgrado, denunciarlo per calunnia».

Il quale Perlasca, descritto da Becciu come «irascibile ma competente» (allo scoppio del caso pensò anche al suicidio, ha detto il porporato, che subito si attivò per scongiurare l’ipotesi) ieri si è costituito parte civile. Contro Becciu per la subornazione e contro gli imputati Tirabassi, Torzi, Crasso e Squillace per truffa, avendolo «indotto in errore« nella firma dell’accordo sulle 1.000 azioni di controllo del Palazzo di Londra. Le difese si sono opposte, ritenendo fuori tempo massimo la mossa. Il Tribunale si è riservato di decidere.

Rispondendo alle domande di Diddi, Becciu è poi tornato sull’udienza del 24 settembre 2020 nella quale il Papa gli disse che in base alle indagini dei magistrati le somme inviate alla diocesi di Ozieri erano state sottratte «dalla manina» del fratello, che questa era l’unica accusa che gli faceva e che stava per uscire un articolo di un giornale italiano sull’argomento (L’Espresso, ndr). In realtà, ha ribadito il cardinale, 25mila euro servirono all’acquisto di un macchinario per produrre pane da parte di una cooperativa che dà lavoro a soggetti svantaggiati e 100mila sono ancora sul conto della diocesi e verranno utilizzati per la Cittadella della Carità, la cui costruzione è appena iniziata.

Quanto poi alle somme dell’Obolo di San Pietro Becciu ha detto che anche volendo sarebbe stato impossibile investirle, perché l’Obolo, oltre che per la carità, è impiegato per sostenere il ministero del Papa. «Nel 2011, quando io divenni Sostituto - ha spiegato - la raccolta si attestava sui 45-50 milioni di euro. Di questi, ogni mese la Segreteria di Stato doveva trasferire 5 milioni di euro all’Apsa per il fabbisogno della Curia, per un totale di 60 milioni annui. Questo contributo aumentò poi ad 8 milioni al mese grazie alle riforme del Cardinale Pell». Ecco la necessità di investire i soldi del fondo sovrano della Segreteria di Stato, che ammontava a circa 600 milioni e che fruttava una decina di milioni all’anno.

«Contro di me - ha concluso Becciu - c’è stata una gogna di proporzioni mondiali» e per quanto riguarda il rapporto con Marogna, esso «è stato distorto con illazioni offensive, di infima natura, lesive - anche - della mia dignità sacerdotale».

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