giovedì 21 ottobre 2021
La moltiplicazione dei tribunali (ne sorgeranno 165 in più) si rischia di cancellare esperienze decennali, svalutare l’importanza del giudizio multidisciplinare
«Ignorati i diritti dei minori». I giudici: la riforma è sbagliata
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Presidenti dei tribunali e procuratori minorili alzano la voce: la riforma della giustizia minorile varata dal Senato e che ora attende il via libera dalla Camera ignora i diritti dei bambini, svuota l’operato degli attuali Tribunali per i minorenni, svaluta l’importanza del giudizio multidisciplinare, cancella il grande lavoro preventivo messo in atto nelle procure minorile, apre la strada a giudici non specializzati che si troveranno a decidere su vicende delicate e complesse come abusi e maltrattamenti in famiglia, magari dopo aver pronunciato una sentenza sugli sfratti. È un quadro tutto negativo quello presentato ieri pomeriggio durante l’incontro tra i presidenti dei Tribunali minorili, i procuratori (presenti i rappresentanti dei 29 distretti minorili) e la ministra della Giustizia, Marta Cartabia. Giudici e procuratori condividono l’obiettivo della riforma, cioè quello di favorire una maggiore omogeneità per tutti i procedimenti relativi ai minorenni e alle famiglia, ma fanno notare che il nuovo rito è stato pensato soprattutto per i procedimenti di separazione e di divorzio, ma sono state dimenticate le esigenze di bambini e ragazzi. La ministra ha ascoltato, ha riconosciuto le buone ragioni di giudici e procuratori, ma ha escluso sia possibile in questo momento procedere con lo stralcio della parte riguardante i tribunali minorili e neppure intervenire con altre modifiche. Più avanti, forse, si vedrà.

Scompare il collegio multidisciplinare
Quali i problemi evidenziati? Oggi i Tribunali per i minorenni sono composti al 50% da giudici togati e per l’altro 50% da giudici onorari esperti in scienze umane (psicologi, psicoterapeuti, neuropsichiatri, pedagogisti, ecc). Un organo quindi che dovrebbe intervenire in modo elastico e tempestivo per aiutare minori maltrattati e vittime di gravi trascuratezze. Con la riforma tutto cambia. Il 90% dei procedimenti (tranne quelle relativi alle adozioni) viene trasferito alle nuove sezioni minorili circondariali che saranno 165, cioè una presso ciascun tribunale ordinario. Qui a decidere di tutte le vicende in cui sono coinvolti i minori sarà un giudice monocratico non specializzato. La difficoltà di valutare situazioni dolorose, spesso in bilico tra diritti educativi dei genitori e diritti del minore – profilo sempre scivoloso – finirà per indurre il giudice monocratico a ricorrere frequentemente a consulenze tecniche d’ufficio, con un aggravio delle spese per famiglie quasi sempre in precarie situazioni economiche. «Il Tribunale per i minorenni – ha scritto Cristina Maggia, presidente dell’Associazione dei magistrati per i minori e la famiglia in un ampio studio uscito nei giorni scorsi su Questione giustizia – regola un processo che non attribuisce torti o ragioni, non gestisce questioni patrimoniali, ma persegue il miglior intementi resse o benessere del minore, con finalità di protezione e tutela, attivando in primis la ripresa delle capacità genitoriali carenti». Si tratta di uno stile che, secondo gli esperti, dovrebbe risultare educativo e costruttivo, grazie all’integrazione tra le competenze giuridiche e quelle scientifiche, ma anche grazie a un confronto costante con i servizi sociali. Tutto questo bagaglio di esperienze e di competenze con la riforma rischia di essere vanificato. Non solo. Vengono allo stesso tempo introdotte novità che, a parere di giudici e di procuratori, potrebbero essere più dannose dei guai a cui si vuole rimediare.

Il rischio di decidere in soli due giorni
L’esempio più citato riguarda le modifiche all’articolo 403 del codice civile che permette l’allontanamento di un bambino dalla famiglia di origine quando c’è l’evidenza o il fondato sospetto di maltratta- gravi, abusi, violenze che si traducono in un gravissimo pericolo per l’incolumità del minore. Situazioni estreme che però sono purtroppo tutt’altro che infrequenti. Secondo i dati diffusi dal ministero della Giustizia gli allontanamenti sono 23 al giorno, 8.395 l’anno, 1,4 per mille abitanti. Tanti in assoluto – perché si parla sempre e comunque di bambini sottoposti a profonde sofferenze – eppure pochi se paragonati agli allontanamenti di Francia (10,4 per mille), Germania (10,5), Regno Unito (6,1). Perché, a partire dal caso Bibbiano in poi, il '403' suscita tante polemiche? Perché la legge consente a servizi sociali, organi di polizia, autorità amministrative di intervenire d’urgenza, in autonomia, anche senza il via libero preventivo dell’autorità giudiziaria. La segnalazione al procuratore minorile dovrebbe essere però tempestiva e, altrettanto tempestiva, la conferma o la revoca della decisione. Ma questa sollecitudine talvolta non c’è. Pesanti carenze di organico – ieri sottolineate con forza soprattutto dai procuratori minorili – causano talvolta ritardi di giorni, spesso di settimane. D’altra parte la legge non impone nessun termine per la decisione del magistrato. Una stortura che certamente andava rimossa. Tanto che da tempo la stessa Associazione dei magistrati minorili proponeva un limite accettabile – 15 giorni – per la conferma o la revoca della decisione. La riforma va molto oltre, stabilendo che il giudice investito del procedimento debba decidere in 48 ore e fissare entro 15 giorni l’udienza con i genitori e l’ascolto del minore. In caso contrario il provvedimento decade. Ma come farà il giudice monocratico a concludere gli approfondimenti necessari per comprendere il disagio familiare causa di un allontanamento in sole 48 ore, considerando la complessità e la delicatezza delle maggior parte delle situazioni? Finirà – facile prevederlo, sostengono giudici e procuratori – per fare proprie le valutazioni formulate dai servizi sociali e, nell’impossibilità di intervenire diversamente, convalidare le decisioni assunte con il 403. E la reale tutela dei diritti dei bambini – e dei genitori – continuerà a rimanere un’ipotesi lontana.


I punti critici

1 Dal collegio al giudice unico
La riforma prevede che ai 29 tribunali oggi esistenti (che diventano sezioni distrettuali) se ne aggiungano 165 (sezioni circondariali), dove a decidere sarà un giudice unico (monocratico). Secondo gli esperti verrà meno la competenza multidisciplinare garantita dai giudici onorari (psicologi, neuropsichiatri, ecc).

2 Impegno educativo a rischio
L’attuale tribunale non attribuisce torti o ragioni, ma persegue il miglior interesse del bambino, cercando innanzi tutto di aiutare i genitori in difficoltà e, quando possibile, di favorire il ritorno in famiglia. L’obiettivo, quando ci si riesce, è educativo non punitivo. Con la riforma questo profilo viene messo a rischio.

3 Art.403, decisioni lampo?
Uno degli aspetti più contestati è l’accelerazione impressa alle valutazioni a cui è chiamato un magistrato dopo l’allontanamento di un bambino dalla propria famiglia. Finora per l’approvazione o la revoca non c’erano limiti di tempo. Ed era sbagliato. D’ora in poi il magistrato dovrà decidere in 48 ore. Con il rischio di non poter valutare al meglio situazioni delicate come maltrattamenti o abusi.

Bambini allontanati e subito ascoltati?
Altra questione controversa quella che riguarda l’ascolto del minore. Imporre che avvenga entro 15 giorni significa ignorare il quadro psicologico della situazione. A breve distanza dall’allontanamento il bambino, anche quando ha più di 12 anni, quasi mai è in grado di esprimere un giudizio sereno sui comportamenti della propria famiglia, perché – scrive ancora la presidente dell’Aimmf – «è l’unica che conosce, non avendo mai avuto altre famiglie con cui confrontarla, cossiché l’ascolto invece di essere un momento di verità e di garanzia, può trasformarsi in un’ulteriore sofferenza».

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