giovedì 29 agosto 2013
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L'abolizione dell’Imu? Un errore dal punto di vista economico, ma una decisione necessaria sul piano politico. Ora però bisogna voltar pagina e fare altro». Pietro Ichino, giuslavorista e senatore di Scelta civica, sollecita il governo a concentrarsi sull’occupazione. Professor Ichino, l’intesa per l’abolizione dell’Imu sulla prima casa non rischia di sottrarre risorse agli ammortizzatori sociali e soprattutto alla riduzione del cuneo fiscale, finendo così per penalizzare il lavoro? È davvero difficile sostenere il contrario. Se si vuole rimettere in moto il Paese, la prima cosa da fare è detassare chi produce, cioè lavoro e impresa; in secondo luogo chi consuma, e qui entra in gioco l’Iva; solo in terzo luogo detassare chi possiede. D’altra parte, in quasi tutti i Paesi avanzati le amministrazioni locali sono finanziate con l’imposta sulla casa. Un errore del Governo Letta, dunque? Sul piano della politica economica, sì. Sul piano politico, però, non è un errore: in un momento di grande difficoltà, in cui le vicende giudiziarie del capo del PdL mettono a repentaglio la sopravvivenza stessa del governo, Letta fa bene a dare spazio a questa scelta, cui il PdL ha voluto attribuire un valore politico prioritario. Però questo ci costerà quattro miliardi. Ma una crisi di governo ci costerebbe enormemente di più. Chiudiamo questa pagina il più in fretta possibile e andiamo avanti, con le cose che contano di più. A quali temi si riferisce? Quali sono le priorità da perseguire per contrastare la crescita della disoccupazione? Innanzitutto, l’abbattimento del cuneo fiscale e contributivo che riduce troppo il salario netto rispetto al costo del lavoro. Ma se diamo fondo alle scarse risorse disponibili per l’Imu… Quello stanziamento per l’abolizione della tassa sulla prima casa è una necessità politica. Questo non ci impedisce di varare anche un piano ambizioso per azzerare il differenziale del nostro "cuneo" rispetto a quello che grava sulle buste-paga tedesche o quelle britanniche. Le risorse possono e devono essere trovate attraverso le dismissioni di patrimonio pubblico poco o male utilizzato e il taglio della spesa pubblica. Se si attivasse la mobilità dei dipendenti pubblici, come è previsto dalla legislazione in vigore, si potrebbero attuare non solo grossi risparmi, ma anche recuperi di produttività delle amministrazioni. Lei dunque non è d’accordo con le stabilizzazioni dei contrattisti a termine che il Governo sta progettando? Sì, su questo punto dissento. In un momento così grave, se ci sono "buchi" negli organici pubblici occorre coprirli spostando il personale dagli uffici dove esso è in soprannumero, anche da amministrazioni diverse. La procedura prevista per questo dal Testo Unico del 2001, l’articolo 33, non è ancora mai stata applicata! La spending review, se la si vuol fare sul serio, implica invece proprio questo. Torniamo alle politiche per il lavoro. Lei ha accusato di scarsa incisività il decreto sul lavoro che il Senato ha approvato subito prima della pausa estiva. Che cosa manca in quel provvedimento? In questo momento di straordinaria incertezza sul futuro prossimo della nostra economia, sarebbe importantissimo incentivare – in via sperimentale e temporanea – l’assunzione di lavoratori a tempo indeterminato con un rapporto di lavoro che possa, se le cose andranno male, sciogliersi senza costi elevati almeno nel primo periodo. Sarebbe una misura molto efficace, e a costo zero. Il ministro del Lavoro ha rinviato questo capitolo a settembre: è importantissimo che ora non ci siano altri rinvii. Il ministro Giovannini ha anche ipotizzato che un lavoratore anziano, in caso di perdita del lavoro, potrebbe avere un anticipo di pensione, ma da restituire a rate. È d’accordo? Francamente, non vedo perché un cinquantenne o sessantenne che perda il lavoro dovrebbe preferire un anticipo della pensione da restituire a rate, piuttosto che un trattamento di disoccupazione come l’ASpI, pari al 75 per cento dell’ultima retribuzione, con incentivi economici e normativi per le imprese interessate ad assumerlo. Anche oggi, nella crisi più grave dell’ultimo secolo, il 12 per cento delle nuove assunzioni riguarda persone con più di 50 anni.
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