mercoledì 6 gennaio 2021
In «C’è una veste bianca anche per noi» Vittore De Carli (Unitalsi Lombarda) raccoglie le testimonianze di dolore, solitudine, fede e solidarietà di chi ha affrontato il virus. Fino al dono di sé
Un reparto Covid

Un reparto Covid - Ansa

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«C’è una veste bianca anche per noi» (Libreria Editrice Vaticana, 130 pagine, 10 euro) s’intitola il libro nel quale Vittore De Carli, presidente di Unitalsi Lombarda, ha raccolto sedici storie di persone che hanno contratto il coronavirus. Alcuni sono guariti, altri non ce l’hanno fatta. Ma tutti hanno in comune il fatto – usando il linguaggio dell’Apocalisse al quale attinge il titolo del libro – di essere passati attraverso la "grande tribolazione" – la pandemia – e di aver lavato le proprie vesti «rendendole candide nel sangue dell’Agnello». La "veste candida" è segno del martirio. Che significa: testimonianza. E questo sono, i sedici protagonisti del libro: testimoni. La cui vicenda umana e spirituale, scrive l’arcivescovo di Milano Mario Delpini nella prefazione, chiama a «una sapienza più alta». Il libro esce in vista del centenario di Unitalsi Lombarda (nata nel 1921) e il ricavato della vendita andrà a una sua opera: l’apertura a Milano – nello storico quartiere dell’Ortica, alla periferia est della città – di una casa, intitolata a Fabrizio Frizzi, indimenticato amico e testimonial dell’Unitalsi, destinata a ospitare i genitori di bambini ricoverati negli ospedali del capoluogo lombardo e provenienti da altre città e regioni.

«Vivere nei Comuni lodigiani della prima zona rossa d’Italia non è stato facile: ci sentivamo in gabbia, come carcerati, ma eravamo coscienti che quella situazione avrebbe permesso a molti di non essere contagiati dal coronavirus. Una delle cose che mi ha colpito di più durante tutto il periodo di lockdown è stato l’emergere di tanta solidarietà e la voglia di aiutarsi per reagire a questa situazione. Sono orgogliosa di essere una cittadina di Codogno. Lo sono per come gli abitanti hanno saputo reagire». È «questa consapevolezza» che «mi ha dato la forza di andare avanti e allo stesso tempo di aiutare gli altri». Parola di Raffaella Bignami, impiegata amministrativa all’Ospedale Maggiore di Lodi, moglie di Leonardo, medico di terapia intensiva nello stesso nosocomio, mamma di Lorenzo e Daniele, 17 e 13 anni.

Una famiglia piegata dalla pandemia. Ma non spezzata. Raffaella e Leonardo si sono ammalati. Ma sono guariti. I figli se la sono dovuta cavare da soli. Ma ce l’hanno fatta. Il Covid ha tentato di dissolvere legami e prossimità. Ma senza riuscirci fino in fondo. Amici, conoscenti, volontari: «il calore della loro vicinanza» non è mai venuto meno, racconta Raffaella. E non è mai mancato il sostegno orante – a volte l’unica e ultima forma di prossimità praticabile – da parte di quelle persone, molte impegnate nell’Unitalsi, con cui Raffaella condivide «pellegrinaggi e momenti di preghiera».

Quella di Raffaella è una delle sedici storie raccolte da Vittore De Carli, giornalista, presidente di Unitalsi Lombarda, nel libro "C’è una veste bianca anche per noi" (Libreria Editrice Vaticana). Sedici storie di persone che hanno contratto il coronavirus durante la prima ondata. Alcune sono guarite, altre non ce l’hanno fatta. Due soltanto hanno avuto risonanza mediatica: la malattia e la guarigione del vescovo di Cremona Antonio Napolioni – che a De Carli ha detto: «essere ricoverato da vescovo è stato riconoscermi popolo, esser parte del destino riservato a tutti» – e il sacrificio di Gino Fasoli – abruzzese trapiantato a Brescia, medico in pensione rientrato in servizio per aiutare i colleghi travolti dall’emergenza, infine ucciso dal virus.

Per il resto, nel libro si incontrano madri, padri, lavoratori, pensionati, persone con disabilità, volontari e preti sconosciuti al pubblico. Sono tutti lombardi: ma le loro storie assumono un valore di testimonianza che supera ogni appartenenza e ogni confine, mentre aiutano a capire meglio quello che è accaduto nella Regione epicentro dell’emergenza sanitaria in Italia. Ebbene: queste storie mostrano anzitutto come anche nello tsunami della pandemia, la famiglia e la fede si siano rivelate appigli decisivi e affidabili, pur messi a durissima prova da una malattia che sprofonda in abissi di dolore, solitudine, paura – come ricorda don Michelangelo Finazzi, prete bergamasco, ricoverato all’ospedale di Alzano, guarito, mentre non ce l’ha fatta sua madre, «tre settimane di agonia, in piena solitudine».

E sono altre pagine strazianti quelle dedicate a Gian Battista Nana, una vita con la "croce" di una malattia neurodegenerativa affrontata sempre con il sorriso, tanti amici e tanta voglia di vivere, ucciso a marzo dal coronavirus all’ospedale Morelli di Sondalo, in provincia di Sondrio, lo stesso giorno in cui, nello stesso istituto, veniva ricoverata per Covid mamma Rita. Lei è guarita. A consolare il dolore immenso per l’impossibilità di essere vicina al figlio amatissimo in quelle ore estreme, una certezza. «Sono sicura che adesso è in cielo, sereno, ci protegge e vive nella luce di Dio».

Queste pagine restituiscono inoltre il tanto bene nascosto accaduto in quei mesi, la solidarietà con gli ammalati vissuta da familiari, amici, volontari, medici, infermieri, cappellani, talvolta fino al sacrificio della vita – fino al martirio – ma sempre lontano dalle luci della ribalta. La pandemia, si ostina a ripetere l’arcivescovo di Milano Mario Delpini, che firma la prefazione, non è solo un’emergenza sanitaria e sociale: è anche, nel profondo, un’«emergenza spirituale». Perciò non basterà il vaccino per vincere la sfida. Né potrà bastare che tutto torni come prima. Ecco il punto: lo tsunami che ha travolto la Lombardia può essere letto e affrontato in molti modi. A partire da un giudizio lucido, senza sconti, su cosa ha funzionato e cosa no nella risposta del sistema sanitario e nelle scelte di politici e amministratori. Ma la ricostruzione non potrà ignorare quelle pietre d’angolo che hanno permesso alla Lombardia di resistere nella tempesta e che il libro suggerisce: la fede, la famiglia, la solidarietà.

«Si tratta di ripartire dalle innumerevoli testimonianze di amore generoso e gratuito, che hanno lasciato un’impronta indelebile nelle coscienze e nel tessuto della società, insegnando quanto ci sia bisogno di vicinanza, di cura, di sacrificio per alimentare la fraternità e la convivenza civile» disse papa Francesco il 20 giugno 2020 ricevendo in udienza, con i vescovi, alcuni sacerdoti e una rappresentanza di medici, infermieri e volontari impegnati nella lotta alla pandemia e provenienti, tutti, dalla Lombardia. Testimonianze come quelle raccolte in questo libro – che De Carli ha dedicato al lombardo don Roberto Malgesini, "martire della misericordia" – e offerte come luci per il cammino che viene.

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