venerdì 20 maggio 2016
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ROMA Il futuro del volontariato sta nelle mobilitazioni temporanee, così come in quelle informali e spontanee. Dall’Expo di Milano al Baobab di Roma, dal Festivaletteratura di Mantova ai gruppi Retake per il decoro urbano. Giovani alla loro prima esperienza, attratti da percorsi nuovi, che possono poi instradare verso forme più strutturate. È un 'volontario postmoderno' quello che emerge dalla ricerca «Fare volontariato ad Expo 2015», commissionata da CSVnet e Ciessevi ai ricercatori del Seminario permanente di studi sul volontariato e all’Università di Milano. Coinvolti nello studio 2.376 volontari, metà di quelli dell’Expo. La ricerca, nata per non disperdere il patrimonio di esperienze dei volontari del- l’Expo, aiuta anche a capire le nuove direzioni del fenomeno. «La pianta del volontariato italiano è viva, c’è linfa e radici, ma anche ramificazioni e gemme inedite», conferma Stefano Tabò, presidente di CSVnet, coordinamento nazionale dei centri di servizio per il volontariato. Perché ci si 'arruola' negli eventi cittadini? «Per mettersi alla prova in ruoli diversi da quelli abituali – spiega il sociologo della Statale di Milano Maurizio Ambrosini – ma anche per assumere un ruolo di cittadini attivi, allo scopo di contribuire al successo di un appuntamento che dà lustro alla propria città». È un contributo a tempo determinato, che non spaventa come una scelta di vita. Anche se all’Expo, poi, quasi tutti gli ex (il 96,5%) hanno affermato di voler fare ancora volontariato in futuro, sia pure in forma episodica. Proprio CSVnet e Ciessevi Milano avevano individuato e formato i 5.500 cittadini che hanno svolto il servizio durante Expo. La maggior parte era di sesso femminile, sotto i 30 anni e con un alto livello di istruzione. Il 41% alla prima esperienza, il 59% aveva già svolto attività volontaria, spesso in modo continuativo. Esperienze nuove nella galassia del volontariato sono state anche, nel recente passato, quelle del Centro Baobab di Roma, che ha mobilitato moltissimi cittadini nell’aiuto alle migliaia di richiedenti asilo, per lo più del Corno d’Africa, transitati in Italia per raggiungere il Nord Europa. «Una mobilitazione spontanea, intergenerazionale, trasversale a idee politiche e fedi religiose», racconta alla presentazione della ricerca Loredana Spedicato, volontaria di Baobab Experience. «Non si poteva rimanere inerti – dice – davanti a quello che succedeva nel cuore dell’Europa. Siamo nati come volontariato totalmente fluido: chi si occupava del vestiario, chi dei kit di arrivo e partenza, chi portava derrate alimentari. Ci mancava la competenza, per questo abbiamo creato una rete di formazione con associazioni e ong». Dopo lo sgombero del centro deciso dal commissario Tronca, la costituzione in associazione «paradossalmente è stata fatta contro la volontà della maggioranza dei volontari: l’assenza di una gerarchia e di una struttura formale era il punto di forza della mobilitazione spontanea». Il confronto con le istituzioni - i municipi, l’Ama - si è invece presentato subito per Retake Roma, progetto nato nella Capitale e oggi diffuso in altre 10 citta, come racconta il presidente Simone Velucci che conta solo a Roma su 70 gruppi di quartiere che si mobilitano via Facebook armati di ramazza e vernice. «La maggior parte dei nostri volontari raramente ha avuto altre esperienze, perché il nostro è un tema che intercetta sensibilità diverse: per molti Retake è la prima forma di partecipazione civica attiva». © RIPRODUZIONE RISERVATA VOLONTARI Sempre più donne protagoniste della solidarietà
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