sabato 25 marzo 2023
Studio italiano per il Parlamento europeo: i governi hanno investito senza tuttavia contare sulle decisioni economiche fondamentali. Farmindustria: visione ideologica
Sono state nove le aziende prese in esame dallo studio italiano

Sono state nove le aziende prese in esame dallo studio italiano - Cristian Gennari

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Nella corsa ai vaccini anti-Covid il rischio finanziario più grande è stato sostenuto dagli Stati e non dalle case farmaceutiche. I primi - tra sovvenzioni a fondo perduto per ricerca e sviluppo, e accordi di acquisto prima ancora che i vaccini venissero autorizzati – hanno sborsato 30 miliardi; le seconde “solo” 16. Non è tutto: nonostante i corposi investimenti, i governi hanno contato poco sulle decisioni economiche fondamentali, e cioè sui prezzi e sulla distribuzione, rispetto alle aziende che hanno prodotto gli immunizzanti.

Sono queste le conclusioni di uno studio realizzato da Massimo Florio, docente di Scienza delle finanze dell’Università Statale di Milano e membro del “Forum Disuguaglianze e Diversità” (Fdd), assieme alla collega di ateneo Simona Gamba e a Chiara Pancotti, del Csil (Centro studi industria leggera), su richiesta del Parlamento europeo. È dunque «una realtà del tutto diversa dalla narrazione secondo cui i risultati ottenuti con i vaccini si devono soprattutto al rischio assunto dalle imprese farmaceutiche», spiega una nota del Forum, per il quale il report, presentato giovedì a Bruxelles (e il 12 aprile alla Fondazione Basso di Roma), contiene «la prima stima mai effettuata » sull’argomento. Per nove vaccini esaminati, la ricerca ha stimato che le imprese hanno speso «5 miliardi di euro per ricerca e sviluppo e 11 miliardi per investimenti produttivi - prima di avere certezza di vendita - per un totale di 16 miliardi».

Mentre dall’esterno, «in quasi completa provenienza dagli Stati», sono arrivate alle aziende «sovvenzioni a fondo perduto per 9 miliardi in ricerca e sviluppo (in larga misura dagli Usa) e 21 miliardi per accordi di acquisto prima dell’autorizzazione dei vaccini stessi, per un totale di 30 miliardi». Dunque, commenta il co-coordinatore del Fdd, Fabrizio Barca, «gli elevatissimi extra-profitti realizzati dalle imprese farmaceutiche che, per alcune di esse hanno raggiunto decine di miliardi di euro, non sono in qualche misura giustificati dal rischio di mercato da loro assunto». Inferiore della metà rispetto a quello degli Stati che però «non hanno esercitato la funzione di governo e controllo delle decisioni di prezzo e distribuzione che competono a chi si assume la maggioranza del rischio». Un «eccesso» di risorse pubbliche che, a detta del Fdd, «avrebbe potuto rafforzare i sistemi sanitari pubblici. Una distorsione che rischia di aggravarsi ulteriormente visto che Moderna e Pfizer hanno annunciato di volere quintuplicare il prezzo a dose portandolo a circa 100 dollari dagli attuali 20, e che l’immunizzazione dura solo pochi mesi».

Per di più, argomenta lo studio, «senza che i fortissimi differenziali di prezzo fra i diversi vaccini siano accompagnati da valutazioni sull’efficacia». Insomma, la scelta sin qui compiuta dall’Ue, afferma il Fdd, «conferma la logica delle sovvenzioni pubbliche in attività di ricerca e sviluppo su cui gli Stati non hanno voce». Per questo, aggiunge Florio, «occorre un intervento pubblico europeo per prevedere e affrontare le prossime pandemie e per altre emergenze. In campi cruciali per la salute, serve la messa a punto di farmaci, vaccini, diagnostica e altri rimedi, da offrire ai cittadini come beni comuni: con ricerca e sviluppo anche in collaborazione con imprese private, ma mantenendo sotto controllo pubblico la “proprietà intellettuale” e le decisioni strategiche su tutto il ciclo dell’innovazione biomedica e del farmaco ».

Da dove partire? « È necessario normare a livello europeo la condivisione delle decisioni di prezzo e distribuzione fra privato e pubblico in relazione all’entità degli investimenti. La strada appropriata - conclude l’analisi - è la costruzione di un’infrastruttura pubblica europea per vaccini e farmaci».

Le conclusioni dello studio trovano di tutt’altro parere le imprese farmaceutiche. «Le nostre aziende non sono enti di beneficenza - dice ad Avvenire il presidente di Farmindustria, Marcello Cattani -; vivono di ricerca e sviluppo, producono farmaci che hanno un impatto sulla salute, e devono ripagare non solo la ricerca ma anche gli azionisti. Non siamo diversi da altri settori che perseguono un profitto, che, intendiamoci, deve essere etico». Sullo studio: «Occorre sfatare visioni univoche e ideologiche. Se oggi abbiamo riconquistato libertà e salute lo dobbiamo al nostro sforzo nel ricercare, sviluppare e portare questi vaccini straordinari ai pazienti in meno di un anno, quando i tempi standard sono di 5-12 anni... Se non abbiamo compreso sulla nostra pelle il valore di innovazione e ricerca tradotti in vaccini e farmaci - incalza Cattani -, continueremo ad avere discussioni faziose».

Certo, spiega il numero uno di Farmindustria, «ci sono state aziende arrivate al traguardo prima, e che hanno acquisito un vantaggio competitivo ed economico rispetto a tante altre che non ci sono riuscite. Ma onestamente non parlerei di extraprofitti a fronte dei rischi e delle tasse pagate». Insomma, la sostanza per Cattani è che «contro una sfida inattesa abbiamo prodotto uno sforzo immediato per proteggere i pazienti e le economie: in Italia ogni mese di lockdown corrisponde ad una perdita di Pil pari a 13 miliardi... Se vogliamo limitare questa narrazione a “extroprofitti” o alle licenze obbligatorie - conclude -, difficilmente avremo nuove cure, proprio mentre stiamo sviluppando piattaforme terapeutiche destinate ad avere un enorme impatto sui cittadini e grandi benefici per i sistemi sanitari».

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