martedì 17 marzo 2015
Vivace faccia a faccia con il sottosegretario all'Economia Baretta. Gli amministratori locali: su distanze e orari ci disarmate ma siamo noi a conoscere il territorio e i suoi problemi.
COMMENTA E CONDIVIDI
«Sediamoci attorno a un tavolo, presto, anzi subito» conclude Pier Paolo Baretta. Chiede, quasi implora: «Dovete venirmi incontro». Ma il «partito dei sindaci» rumoreggia. Sarà durissima trovare un accordo. Il decreto sull’azzardo non piace agli amministratori locali. E il confronto organizzato dal Gruppo del Pc al Senato ieri mattina alla Sala Cavallerizza del Teatro Litta termina con il sottosegretario all’Economia disarcionato. Non piace ai sindaci veder vanificati anni di lavoro per contenere la piaga dell’azzardo con il suo strascico di sofferenza e disperazione. Hanno imposto alle sale distanze minime dai luoghi sensibili (scuole, ospedali, cimiteri, luoghi di culto...); orari di apertura e chiusura; sono passati sotto le forche caudine dei ricorsi dei gestori ai Tar; e adesso rischiano di ritrovarsi disarmati. Baretta tende la mano: «Il governo è disponibile a percorsi condivisi» ma subito avverte che i '500 metri' non possono essere la soluzione, perché svuoterebbero i centri storici creando 'cittadelle dell’azzardo' nelle periferie: «Troviamo un punto di equilibrio». Gli ribatte Ada Lucia De Cesaris, vicesindaco di Milano: «Non dimenticatevi che noi siamo sul territorio, noi di fronte al dramma di tanti cittadini. Il criterio della distanza minima difende tutti». E chiude con un avvertimento: nella trattativa, vogliamo avere «stesso peso e stesso ruolo» dell’industria dell’azzardo. A lei, all’industria che evita accuratamente la parola 'azzardo', il decreto piace. Piace molto. Il lecchese Giovanni Maggi, a nome di Confindustria, non nasconde la soddisfazione. Bisognava «riorganizzare e ridurre l’offerta». L’azzardo era proliferato troppo e senza controllo; meglio avere meno postazioni e più moderne. Distanze dai luoghi sensibili? No, a Milano il 95% del territorio finirebbe de-slottizzato. Ciò che per gli amministratori e le associazioni è un bene, per l’industria dell’azzardo è un male. Eppure anch’essa dice di voler «tutelare le fasce più deboli». Come, non si sa. È una costante della Sala Cavallerizza. Baretta, ma anche Emilia De Biasi, presidente della Commissione Sanità del Senato, che gli siede accanto, esordiscono: mettiamo al centro la salute pubblica! Ma poi non se ne parla più. Ci sono i soldi, lo Stato che non può perdere gli 8 miliardi garantiti dall’azzardo, i costi sociali ben superiori ma che nessuno ricorda, e l’accantonamento di tutte le proposte atte a salvaguardare i «più deboli», come una tessera per accedere al gioco. Sentire De Biasi ribadire: «L’azzardo è un settore industriale importante, ci piaccia a no», fa venire i brividi: e la salute non è importante e non vien prima, ci piaccia o no? I sindaci sono determinati e documentati. La distribuzione della sale già adesso non è omogenea e far rispettare la distanza dai 'luoghi sensibili' farebbe ridurre le slot: «Lasciateci una certa autonomia di intervento», quasi implora il vicesindaco di Pavia, Angela Grigolini. E Lorenzo Gaiani, sindaco di Cusano Milanino e presidente di Legautonomie Lombardia, le fa eco: «Dateci strumenti per intervenire». Baretta ribatte: vogliamo una «equa distribuzione di sale sul territorio. Ma se applicassi le distanze, sarebbe la fine dei giochi». Sì, ma così finisce anche il dialogo con i sindaci... Sulla pubblicità annuncia: i miei collaboratori sono a Bruxelles per capire come reagirebbe l’Europa di fronte a una proibizione totale. Confindustria è con il governo: no al blocco, sì al codice di autodisciplina. De Cesaris non molla: «Ci vuole coraggio». Quello che uno, se non ce l’ha, non se lo può dare. 
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: