domenica 5 luglio 2020
Il cargo "Talia" ha tratto in salvo 52 persone scampate alla Libia. Se ne prendono cura, ma non sanno a chi consegnarli. E c'è il rischio che arrivino i libici
Un giovane marittimo della "Talia" tiene in braccio un ragazzo esausto, già vittima di torture

Un giovane marittimo della "Talia" tiene in braccio un ragazzo esausto, già vittima di torture - .

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Li hanno salvati, senza pensarci due volte. Loro che sul cargo di solito trasportano bestie. Maiali, buoi, anche cammelli. Come i tremila salvati dalla guerra in Libia e portati via di fretta, mentre vicino al porto infuriava la battaglia, in uno scalo tunisino.

Di persone ne hanno soccorse 52. Hanno deviato la rotta, ma adesso attendono un porto di sbarco. Lo chiedono a Malta, che prende tempo da tre giorni. E se il silenzio perdurasse rischierebbero di doverli consegnare a una motovedetta libica.

Quello che i marinai della Talia stanno facendo è uno schiaffo alla narrazione cinica di chi vorrebbe le persone equiparate alle bestie. Anzi peggio. L’immagine del ragazzo, forse un motorista, in tuta blu che protetto solo dalla mascherina prende in braccio un subsahariano ridotto a uno scheletro, torturato in Libia ed esausto dopo giorni alla deriva, è la raffigurazione della “pietas” nel Mare Nostrum.

Per la gente di mare, non c’è diktat che tenga. Le vite umane si salvano. I samaritani della nave Talia non sanno che fare, adesso. In un filmato ottenuto attraverso Alarm Phone li si vede correre per portare il cibo ai naufraghi. Uno dopo l’altro salgono dalle cucine e portano il pasto sul ponte, di corsa, in fondo a degli sconosciuti. I superstiti dell’inferno libico sono stati collocati secondo le disposizioni del coordinamento dei soccorsi de La Valletta, preoccupati del “distanziamento sociale” ma non ancora di assegnare un porto. La foto del ragazzo, scattata da un altro marinaio che ha voluto documentare e denunciare la tragedia inascoltata dei profighi, ricorda le ultime ore di Segen, il migrante poeta eritreo morto a Pozzallo nel 2018 tra la disperazione del dottor Vincenzo Morello, medico delegato di Porto a Pozzallo, che cercava di salvargli la vita. Consumato dalla fame, dalle sevizie, dalla tubercolosi, era arrivato sulla nave Open Arms.

Un paio di migranti sono stati evacuati dalle forze maltesi, rischiavano di morire. L’armatore, intanto, implora una soluzione anche perché la nave deve raggiungere il carico da trasportare e ogni giorno di ritardo costa tempo e denaro. Di riconsegnarli ai libici (di cui pure la nave è cliente) non hanno voglia. Anche se ormai nel Mediterraneo gli accordi indicibili tra Stati e bande criminali, i voltafaccia delle istituzioni europee, gli scaricabarile tra governi, fanno pensare che una vita umana non valga il viaggio per salvare un cammello.

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