venerdì 17 giugno 2016
​«Negli occhi dei rifugiati, la nostra storia» è il tema su cui si sono confrontati il cardinale Francesco Montenegro e il professor Gustavo Zagrebelsky. Voci diverse per una narrazione convergente, voluta dal Centro Astalli in vista della Giornata mondiale del rifugiato del 20 giugno, alla Pontificia università gregoriana, moderatore il direttore di Avvenire Marco Tarquinio.
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Crisi dei rifugiati o crisi dei valori fondativi dell’Europa? L’arrivo dei migranti forzati ha mostrato la debolezza non tanto dell’accoglienza, quanto delle stesse democrazie, pronte a mettere tra parentesi i diritti umani per motivi elettorali. E allora per capire il problema non bisogna guardare ai titoli strillati o alle fredde statistiche. Altrove. «Negli occhi dei rifugiati, la nostra storia» è il tema su cui si confrontano il cardinale Francesco Montenegro e il professor Gustavo Zagrebelsky. Voci diverse per una narrazione convergente, voluta dal Centro Astalli in vista della Giornata mondiale del rifugiato del 20 giugno, alla Pontificia università gregoriana, moderatore il direttore di Avvenire Marco Tarquinio. È padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli ad annunciare che «il 20 giugno avremo l’onore di avere in visita al nostro centro a San Saba il presidente Sergio Mattarella che incontrerà circa 200 rifugiati. Un bellissimo regalo e un segno importante di lungimiranza». Dopo il saluto del rettore della Gregoriana, padre Francois-Xavier Dumortier, Tarquinio sottolinea come «dentro l’informazione ci sia tanta deformazione», quando ci raccontano che i migranti forzati «sono baldi giovanotti che vengono a villeggiare sulle sponde del Mediterraneo ». Altro che vacanze. L’arcivescovo di Agrigento, presidente della Caritas e della Commissione carità Cei, dice di «non essere riuscito a guardare negli occhi, chiusi, dei 366 migranti deposti sul molo di Lampedusa». E ammette: «Ho avuto una crisi di fede, ho sentito Dio lontano. Ma il pianto di un poliziotto, che non aveva un motivo diretto per farlo, mi ha fatto capire che Dio non può restare indifferente». Eppure fatica a capire che quantomeno i migranti creano ricchezza. «Non sono dati Caritas», premette. E cita l’attivo di 3,9 miliardi, le 497mila imprese, i contributi per 620 mila pensionati, le 830 mila badanti senza le quali lo Stato a spenderebbe 250 miliardi in 5 anni. E senza gli 805mila studenti stranieri perderebbero il lavoro 68mila insegnanti. Ma il cardinale invita a guardare la storia «con gli occhiali della Bibbia: il popolo ebreo schiavo che attraversa il deserto sono i migranti, i faraoni le multinazionali» che con nuove forme di colonizzazione contribuiscono all’emigrazione.  Per Zagrebelsky, presidente emerito della Consulta, è tempo di «superare le categorie giuridiche del diritto costruito sugli stati e sull’idea del 'a casa mia'». Ma «serve una grande battaglia culturale, perché al diritto all’accoglienza» sancito dalla Convenzione di Ginevra «corrispondono doveri: l’accoglienza non è una concessione ma un dovere, che non interpella solo le istituzioni ma tutti noi. Al sindaco di Torino avevo proposto un censimento delle famiglie disponibili ad accogliere. Io sarei contento di farlo». Poi dice di «superare la distinzione tra migranti forzati ed economici. Anche perché il diritto all’asilo nella Costituzione ha una definizione ampia». E denuncia «lo scollamento scandaloso tra i diritti avanzatissimi dichiarati dall’Ue e la realtà. Perché l’Europa è una sommatoria di governi e qui la democrazia mostra i suoi limiti perché l’accoglienza toglie voti».
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