sabato 31 marzo 2018
Vengono da Camerun, Nigeria, vivono nel centro di Conetta e Bagnoli, e sono i testimoni di una speranza più forte di naufragi e tempeste di sabbia. «Porteremo al Signore anche chi non ce l’ha fatta»
Albert, 19 anni, camerunense, e sullo sfondo Martins, 37 anni, nigeriano

Albert, 19 anni, camerunense, e sullo sfondo Martins, 37 anni, nigeriano

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Martins non ha dubbi: «Oggi sarà il giorno più glorioso della mia vita». La sua mente vola alla Veglia pasquale di sabato notte, quando nella Cattedrale di Padova riceverà il battesimo dalle mani del vescovo Claudio Cipolla. Diventerà cristiano in Italia con altri nove richiedenti protezione internazionale: sette che tuttora vivono nei due grandi – e molto discussi – centri di accoglienza di Conetta e Bagnoli, e altri tre nel frattempo trasferiti. Martins, un nigeriano trentasettenne, porta, ben visibile al collo, il crocifisso da catecumeno: «Mi hanno chiesto di venderlo – confessa –. Non lo avrei fatto per nulla al mondo».

Oggi tutto riceverà un senso: «Il Signore mi ha salvato dal fuoco in Africa e dall’acqua nel mezzo del Mediterraneo. Non posso che dare la mia vita a Lui». Il suo è un racconto di tempeste di sabbia nel deserto, di estenuanti giornate trascorse in macchina lungo le piste approssimative del Niger e poi delle violenze patite in Libia. Fino al lapa-lapa , il barcone dove la vita e la morte si sfiorano in ogni momento. Nelle orecchie di Albert – camerunense, 19 anni – non si placano i colpi di mitra che sibilavano sul cassone del pick-up su cui ha viaggiato, coperto, la notte, verso Sabrata, sognando l’Europa. «Arrivati in Libia – racconta – siamo stati venduti come schiavi per 190 dinari (poco più di 115 euro, ndr)».

Sulla costa sono iniziati così due mesi in un campo per sole persone di colore. Finché «siamo stati spinti dentro il gommone in 120. Un’ora dopo, ha iniziato a perdere aria. Un nigeriano si è gettato in mare ed è morto, mentre a bordo tutti pregavamo, cristiani e musulmani insieme. Quel giorno in 70 sono morti, tra cui delle donne incinte. Mi chiedo: perché io mi sono salvato e loro no?». Una domanda che non gli dà pace mentre è un sogno per lui diventare cristiano «nel Paese dove c’è il Papa! Metto la mia vita nelle mani del Signore per tutti gli amici che non ce l’hanno fatta» aggiunge. Bruno scuote i riccioli e parla del battesimo come di un progetto che si realizza. «Quando sono arrivato a Cona il 27 maggio, ho subito chiesto dove fosse una chiesa».

Il suo cammino verso i sacramenti era già iniziato in Guinea Bissau, ma non si era mai completato. Anche a lui, Dio deve essersi fatto presente nel viaggio. Njoni Gidé, nigeriano di 32 anni, non dimenticherà la prigionia libica, la schiavitù nelle mani di un arabo, le violenze ricevute, l’essere accatastati uno sopra l’altro in un furgone, fino alla fuga verso il mare. Ma non scorderà mai nemmeno quella volta alla Messa ad Agna, nel Padovano, che gli hanno rifiutato la mano allo scambio della pace. «Le brutte persone ci sono ovunque» riflette, ma poi sono comparsi anche gli angeli custodi.

Tra tutti padre Lorenzo Snider, un missionario della Società missioni africane originario della Valtellina, di stanza a Feriole, ai piedi dei colli Euganei. La nomina del vescovo Cipolla a occuparsi di questi ragazzi è arrivata un anno fa. Attorno a lui è nato il gruppo Rinascita: ogni venerdì incontri di preghiera nelle due ex basi Nato, tante testimonianze e Messe animate in tutta la diocesi, la Marcia per la pace diocesana di gennaio proprio ad Agna, finché questi ragazzi non hanno espresso il desiderio di diventare cristiani.

L’esperienza religiosa ha spalancato le porte a molte relazioni. «Alcune famiglie che hanno accolto questi ragazzi per un pranzo a Natale o alle Palme ora diventeranno loro padrini o madrine – racconta –. L’evangelizzazione e la rottura del pregiudizio sono i segni della verità di questo percorso. Ma questi sono dei privilegiati. E gli altri?». A Cona e Bagnoli vivono ancora 600 e 250 persone. Il turn over è bloccato. Alcuni sono lì da un anno e mezzo. «Questi posti vanno chiusi – scandice il religioso senza mezzi termini –. Non c’è nessuna emergenza in atto. Stiamo prendendo in ostaggio delle persone per mantenere aperte delle strutture. È il momento di riportare tutto nell’ambito dello Sprar».

Intanto, per questi dieci questa notte si aprirà una nuova vita. Il simbolo è Ejike, nigeriano convinto che la sua vita sia una testimonianza, che ha scelto Christian come nome di battesimo. Lui, arrivato pieno di vergogna per il suo analfabetismo, sicuro nemmeno di essere nato 25 anni fa e riempito di botte fin dall’infanzia, oggi è qui a dire in lacrime: «Non so davvero come ringraziare Dio per la vita».

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