domenica 3 marzo 2019
Nel carcere minorile campano lo scrittore statunitense Len Cooper racconta la sua vita: «Sono uno che ha sbagliato. Ma poi ho ritrovato la strada giusta».
I ragazzi di Nisida Dietro le sbarre vive la speranza
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Il centro studi sulla devianza minorile che ha sede nell’istituto penale di Nisida, nell’arcipelago delle Flegree, in provincia di Napoli, è gremito. In tanti hanno lo sguardo fisso su Len Cooper, giornalista e scrittore statunitense ma, soprattutto – come ama definirsi lui – «uno che ha sbagliato e che ha ritrovato la strada».

Ai 70 ragazzi che oggi abitano il penitenziario, Cooper ha detto che «il capitolo finale della vostra vita è ancora tutto da scrivere. Avete fatto delle scelte sbagliate ma dipende da ciascuno di voi continuare o cambiare strada». Len Cooper vive da 12 anni a Napoli, che definisce «la mia casa», facendo riferimento alla generosità, alla tolleranza e all’apertura nei suoi confronti. Oggi ha un ruolo di primo piano presso il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti d’America, ma non è sempre stato così.

Ha conosciuto la fame, la miseria, l’emarginazione. Ai ragazzi, che ha incontrato per oltre un’ora, ha voluto raccontare la sua storia. «A 24 anni volevo uccidere mio padre per le violenze che subivo da lui». La commozione è forte in un luogo dove in tanti conoscono, per esperienza, la sopraffazione, la povertà, l’emarginazione. Ma Cooper non si è arreso: «Anche voi, come me, potete sognare una vita migliore. Io ci sono riuscito ».

Certo – dice Cooper –, ci sono momenti in cui si perde la speranza: ma in questo caso è fondamentale circondarsi di persone che ti aiutano a tornare sulla strada giusta». «Ricordo un giorno, in particolare – racconta lo scrittore – in cui mi sono seduto per terra nella neve, piangendo perché non avevo soldi e nessun posto in cui vivere: là è intervenuta una persona per aiutarmi. Il segreto è questo: circondatevi di persone positive e di veri amici».

L’appello che lancia da Nisida è di «perdonare sempre. Anche se sembra che la società ti abbandona e non ti ascolta». «Una società che giudica un minore e poi lo mette in carcere è una società malata» ha rilanciato il Garante regionale per i detenuti, Samuele Ciambriello, ricordando come «l’impegno per la prevenzione e per luoghi alternativi sia fondamentale per creare percorsi d’integrazione che fanno della società una società civile». La storia di Cooper (raccontata a Nisida grazie alla Federazione italiana donne dottori commercialisti, che ha promosso l’evento di formazione) assomiglia a quella di Antonio, uno dei tre ragazzi che nel 2009 uccisero la guardia giurata Gaetano Montanino nel centro storico napoletano (e che poi si è salvato grazie ad un corso di cucina) e a quella dei tanti ragazzini che ora sono “dietro le sbarre”.


Una struttura modello dove si cercano le straordinarie capacità di ognuno accendendo l’interesse nell’apprendere e nel lavorare. «Così – spiega il direttore dell’istituto di pena, Gianluca Guida – lavoriamo a diversi progetti: prevalentemente all’alfabetizzazione primaria dei ragazzi per recuperare il gap scolastico; al recupero delle capacità personali e quindi sul lavoro sulle identità e sulle competenze manuali (con il laboratorio di pasticceria, di cucina, di ceramica, di pizzeria, e persino di street food napoletano) tutti settori anche hanno un’attinenza con la cucina.

Poi è nato anche un laboratorio naturalistico che punta alla manutenzione dei giardini. Ciò che ci sta più a cuore è il recupero del parco letterario di Nisida (d’intesa con il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare) per restituire una parte dell’isola alla città». Sull’isoletta che tanti poeti hanno cantato, primo fra tutti Omero, la vita per i ragazzi scorre tranquilla. «Ma – rimarca il direttore Guida – il sogno americano di Cooper lì è realtà: per noi è una opportunità più difficile». Il direttore racconta che in tanti si sono rivolti a lui, una volta fuori il carcere: «Mi trovo nella difficoltà di dover dare delle risposte ai ragazzi. Ci siamo impegnati a sostenerli e con molti di loro c’è stato un patto di reciproco aiuto: se loro avessero risposto ai nostri stimoli, noi non li avremmo abbandonati».

«Sentiamo la responsabilità di doverli accompagnare in questo passaggio cruciale: sono in reali difficoltà – ha proseguito – e ci dispiacerebbe se dovessero sentirsi traditi ancora una volta». Da Nisida parte un appello: «sono giovani uomini che meritano il nostro sostegno, se qualcuno può darci una mano per trovare attività che abbiano un minimo di stabilità, magari nel settore della ristorazione o della assistenza paramedica, ci contatti. Da soli non possiamo più farcela».

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