martedì 5 aprile 2016
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Il premier: «Non arrivate mai a sentenza. Se è reato sbloccare opere, lo faccio» I magistrati di Potenza al ministero. Descalzi (Eni): noi non avveleniamo ROMA Il ministro per le Riforme Maria Elena Boschi è stata ascoltata come persona informata sui fatti per l’inchiesta Tempa Rossa in Basilicata. Al centro del colloquio con i magistrati, l’ormai ben noto emendamento approvato in Legge di stabilità che sbloccava gli interventi legati alle estrazioni petrolifere in Val d’Agri, oggetto delle conversazioni intercettate del ministro poi dimissionario Federica Guidi. Di primo pomeriggio arrivano nella sede della presidenza del Consiglio di largo Chigi, il procuratore capo di Potenza, Luigi Gay, l’aggiunto Francesco Basentini e il pm Laura Triassi, proprio mentre - a soli 200 metri - il premier sta per iniziare in largo del Nazareno la direzione del Pd, dedicata proprio alla spinosa vicenda. «Chiedo alla magistratura non solo di indagare il più velocemente possibile ma di arrivare a sentenza», dice Renzi. «Ci sono indagini della magistratura a Potenza con la cadenza delle Olimpiadi», ironizza. Ossia ogni quattro anni, «e non si è mai arrivati a sentenza. Un Paese civile è un Paese che va a sentenza », attacca Renzi. I magistrati, intanto, entrati attraverso un ingresso posteriore in via dei Sabini per eludere i cronisti in vana attesa per due ore in piazza davanti all’ingresso principale, sentono il ministro per non più di un quarto d’ora, stando a quanto riferisce Matteo Orfini. Boschi - che poi esibirà un sorriso tranquillo all’uscita - a loro si mostra effettivamente informata sui fatti, chiarendo che rientrava nella sua delega fare da tramite fra la linea del governo 'sblocca-cantieri' e il Parlamento, dunque l’emendamento alla legge di stabilità era ampiamente nella sua cognizione senza bisogno di una sollecitazione inopportunamente evocata dall’ex ministro Guidi nella conversazione con il suo compagno. Ascoltare il ministro era «necessario», si limitava a dire il procuratore all’uscita. Ma al di là del fatto che Boschi non sia indagata, la presenza dei magistrati in una sede del governo per Renzi, certo, non è un bel segnale. «Se è reato sbloccare le opere pubbliche io sono quello che sta commettendo reato!. Continueremo a sbloccare opere pubbliche», dice il premier ai suoi. «Se si decide che un’opera va fatta nel 1989 lo scandalo non è nell’emendamento approvato ma che si sono buttare delle occasioni. Io chiedo alla magistratura italiana di indagare il più velocemente possibile ma di arrivare presto a sentenza; ripete. E polemizza con il predecessore che parlava di «legittimo impedimento o prescrizione», riferito naturalmente a Silvio Berlusconi. «Io invece parlo di sentenze». Parole che innescano la polemica, fanno parlare di attacco ai magistrati. Così nella replica trova modo di correggere il tiro, dicendo le stesse cose con diversi toni e diversi argomenti. «Esigo da cittadino italiano che le sentenze arrivino perché è l’unico modo per fare pulizia e cacciare i ladri e i corrotti», spiega. «Il dramma è che se un’opera pubblica ha problemi, si blocca l’opera ma non si blocca il ladro. Ad Orlando dico: dobbiamo permettere ai magistrati di essere rapidi nelle loro sentenze, per guardare negli occhi i nostri avversari politici che la buttano 'in caciara', che dicono che siamo schiavi delle lobby. Ma io guido un partito che i soldi dalle compagnie petrolifere non li ha presi», rivendica. No - quindi - alla «demagogia» che dipinge tutti uguali. «La diversità profonda dagli altri è che loro parlavano di legittimo impedimento - insiste -, io dico interrogatemi, gli altri parlavano di prescrizione io chiedo sentenze e dico di fare i processi, ma veloci. Noi non siamo uguali agli altri: sia stampato in testa a chiunque abbia dubbi. Poi si difende di nuovo dall’accusa di aver attaccato i giudici: «Sono profondamente innamorato della giustizia. Per questo mi fa male quando non si arriva a sentenza, fa male quando ci si mette 8 anni per un primo in grado. E non li sto sfidando e men che meno attaccando quando dico ai magistrati di andare a giudizio». Invoca ancora una cultura garantista: «La Costituzione ci impone di aspettare che ci sia la parola definitiva della Cassazione. Recuperare la dimensione della giustizia è di sinistra, non è attaccare i magistrati, ma difenderli. Chiediamo ai magistrati di parlare con le sentenze non con le anticipazioni sui giornali». Quanto all’Eni, «ho il dovere di difendere la più grande azienda italiana, come ho fatto in Parlamento quando ho difeso l’ad, del quale ho stima». E l’ad Claudio Descalzi se la prende con «chi dice, senza sapere quel che facciamo, che siamo avvelenatori». © RIPRODUZIONE RISERVATA
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