martedì 7 marzo 2023
Negli interrogatori dei testimoni la mappa della “zona rossa” e il ruolo dell’ex premier Conte. Rezza: «Era titubante». Le ammissioni degli imprenditori sulle pressioni per non chiudere
Il Covid ad Alzano Lombardo

Il Covid ad Alzano Lombardo - ANSA/STEFANO CAVICCHI

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Ci sono i messaggini stralciati dalle chat private, con le imprecazioni o i commenti superficiali (quando non offensivi) e le faide tra dirigenti all’interno del ministero della Salute. Soprattutto, ci sono le testimonianze raccolte dai pm di Bergamo a partire dalla metà del 2020, quando il Paese era appena uscito dal lockdown e il Covid era una minaccia solo momentaneamente passata. Ognuna con la sua verità, ognuna con quello che oggi, a tre anni da quei giorni, appare come un colpo di scena. Continua a tenere banco, anche nel dibattito politico, la ricostruzione delle prime, concitate fasi della pandemia fatta dalla Procura orobica, che la settimana scorsa ha chiuso le indagini e indirizzato 19 avvisi di garanzia ai vertici del governo di allora e a quelli delle autorità sanitarie e della Protezione civile.

Gli esperti e Conte. Il punto chiave resta quello della mancata istituzione della “zona rossa” a Nembro e Alzano. Che ruolo ebbero, innanzitutto, gli indagati in quella decisione? L’interrogatorio di Giovanni Rezza – attuale direttore della Prevenzione del ministero della Salute – ricostruisce una parte degli avvenimenti di quei giorni. Sentito dai pm a giugno 2020, Rezza – che partecipava alle riunioni del Cts «in qualità di sostituto del professor Brusaferro (cioè del presidente dell’Istituto superiore di sanità, che risulta tra gli indagati, ndr)» – sulla situazione di Alzano e Nembro spiega di aver «visto una mappa» sulla diffusione del contagio ai «primi di marzo». E ancora: «Ricordo di aver verificato che Alzano e Nembro non erano molto distanti da Bergamo – prosegue Rezza –, ho ritenuto che fosse necessario separare questi due comuni da Bergamo per evitare il contagio della città». La “zona rossa” avrebbe «salvaguardato Bergamo» e «rallentato» il contagio nelle due cittadine secondo l’esperto. Il 3 marzo lo stesso Rezza riferisce dei casi di Alzano e Nembro al Cts, parlando di un’unica «catena di trasmissione». Brusaferro lo chiama, «credo il 4 o il 5 marzo», per chiedergli una «nota più dettagliata per istituire la “zona rossa”. Posso dire che il ministro Speranza è sempre stato favorevole all’adozione di provvedimenti restrittivi; anche in Regione Lombardia mi sembrava vi fosse adesione». Nella riunione Cts del 6 marzo, infatti, Rezza caldeggia questa soluzione «ma il presidente del Consiglio mi sembrava fosse dubbioso; ho avuto l’impressione che volesse elevare il livello del controllo all’intera regione». E ancora: «Mi sembrava titubante in relazione all’impegno di forze dell’ordine per delimitare il cordone sanitario».

L’arrivo dell’esercito. Forze dell’ordine che erano già state mobilitate, per altro, dal Viminale, senza tuttavia che lo stesso ex premier ne fosse informato, almeno secondo quanto testimoniato dall’allora ministra dell’Interno Luciana Lamorgese. Il cui interrogatorio scioglierebbe i nodi emersi sulla presenza di un contingente di 300 militari in Val Seriana. «Quando si parlò della situazione di Alzano e Nembro – spiega ai pm Lamorgese – con il ministro Speranza e mi pare anche con il presidente Conte si cominciò a pensare all’ipotesi di istituire una “zona rossa”. Chiamai allora il capo della Polizia per rappresentare questa eventualità, affinché si evitassero i ritardi che avevano connotato il caso di Lodi», dove il coordinamento per la “cinturazione” dell’area “richiese 24-30 ore. Il «capo della Polizia – si legge ancora nel verbale – programmò dunque un sopralluogo organizzativo». Il “contingente” arrivò in Val Seriana la sera del 6 marzo: «Tutte le disposizioni di cui sto parlando, formulate da parte mia, furono orali» conclude Lamorgese.

Le pressioni. Ma nei verbali emerge per la prima volta in chiaro anche il ruolo che gli industriali ebbero nelle decisioni poi prese dalla politica. «Non ricordo di aver parlato con il presidente Fontana di “zona rossa”» sono le prime risposte che, convocato come teste negli uffici della Procura di Bergamo sempre a giugno di tre anni fa, Marco Bonometti, all’epoca presidente di Confindustria Lombardia, fornisce agli inquirenti. Salvo, poi, incalzato da altre domande, dover chiarire di essersi ricordato di aver avanzato al governatore lombardo una “richiesta” in tal senso: «Sì, glielo ho chiesto» mette a verbale l’industriale bresciano, numero uno delle Officine Meccaniche Rezzatesi, aggiungendo che «Regione Lombardia era d’accordo con noi nel non istituire le “zone rosse”, ma nel limitare le chiusure alle sole aziende non essenziali». Peccato che qualche giorno prima, a fine maggio 2020, Fontana – passato poi da teste ad indagato – aveva già dato una risposta perentoria ai pm: «Per questa faccenda non ho ricevuto pressioni. Sulla zona rossa di Alzano e Nembro non ho mai parlato con nessun rappresentante di Confindustria e non mi sono state rappresentate le loro esigenze». Secondo Fontana – che ieri si è detto indignato per «le teorie del microbiologo e oggi senatore Pd Andrea Crisanti, diventate addirittura oggetto di un processo» – la linea della Regione ai primi di marzo era chiara: «Noi credevamo nella realizzazione della “zona rossa”. La nostra non era una scelta politica, ma tecnica». Tuttavia, le preoccupazioni del mondo produttivo si manifestavano eccome, come emerge pure dalla deposizione di Pierino Persico, patron dell’omonimo gruppo di Nembro, che vanta anche la realizzazione di Luna Rossa. Lui, ai pm, chiarisce di non aver «esercitato alcuna pressione per non fare istituire la zona rossa”», ma di aver «semplicemente espresso le mie preoccupazioni, atteso che se non consegnavo i materiali sarei stato soggetto a danni milionari» e ci sarebbero state conseguenze «negative sui livelli occupazionali». Salvo poi scrivere, poco prima della mezzanotte del 3 marzo 2020 in un messaggio all’allora deputato del Pd Maurizio Martina, che «se fermiamo tutto siamo rovinati almeno le aziende che sono fuori dal centro teniamole vive».

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