martedì 16 febbraio 2010
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Per anni si è costruito troppo e male, tollerando scempi sulla natura e abusi edilizi, mentre suonavano inascoltati i campanelli d’allarme. La morale è sempre la stessa, ma leggere ancora una volta i numeri di una possibile tragedia annunciata è purtroppo istruttivo. Nella sola Sicilia sono 300 i Comuni a rischio idrogeologico «molto elevato»: circa 8 su 10, per un totale di 2.030 chilometri quadrati considerati «pericolosi». Il caso di San Fratello, ben noto agli addetti ai lavori da decenni, è solo l’ultimo di una serie recente che ha coinvolto in pochi mesi città e paesi, da Messina a Ischia a Massaciuccoli. Solo per l’isola di Scilla e Cariddi, sarebbe stato necessario un investimento quantificato, tra il 1998 e il 2003 (periodo a cui risalgono gli ultimi dati disponibili) pari a 1,8 miliardi di euro. Sapete quanto è stato invece stanziato? Meno di 50 milioni di euro. Si fa poco o nulla, dunque, per la messa in sicurezza dei territori e delle case e a poco servono le denunce di comitati civici e associazioni ambientaliste.Nel frattempo, cosa se possibile ancora peggiore, i consorzi di bonifica, cui spetta la manutenzione di dighe e canali, sono ormai commissariati da 18 anni: è la conferma di uno stato d’emergenza permanente, che però non è riuscito a risolvere problemi strutturali di malagestione e ha finito, secondo i maligni, per esautorare di competenze i veri esperti e per moltiplicare spese e poltrone a favore della classe politica locale.Un problema strutturaleOggi toccherà all’associazione nazionale bonifiche e irrigazioni, durante un incontro pubblico a Roma, ricordare l’impegno costante dei consorzi locali nei percorsi di prevenzione, rilanciando alcune proposte-chiave per la difesa del territorio minacciato da frane e alluvioni. «Non c’è solo la Sicilia – racconta il presidente dell’associazione, Massimo Gargano –. Prendete la Calabria: dimostra che è possibile, partendo da situazioni simili, procedere al riordino degli enti competenti, arrivando a una diminuzione dei consorzi e implementando le competenze giuste». In attesa di vedere risultati concreti, ancora lontani visto il perdurare nella regione dell’emergenza di questi giorni, può essere utile puntare per lo meno a fare economia di scala, togliendo dal terreno della speculazione politico-economica i Comuni e le aree a forte rischio. Ci sono segnali positivi, dunque, a Nord come a Sud, ma restano circoscritti perché si possa intravedere un’inversione di tendenza. Pensate di fare un ipotetico viaggio per l’Italia: potreste scoprire, ad esempio, che nel nostro Paese il consumo di suolo negli ultimi quindici anni si è impadronito di un’area pari a quella di Lazio, Umbria e Abruzzo messe insieme. E se lo sguardo si allarga su quanto accaduto nel secolo scorso, la contabilità ci dice che negli ultimi 80 anni le alluvioni sono state 5.400 mentre le frane hanno raggiunto quota 11.000.Solo misure tamponeE i governi centrali? Si sono limitati a tamponare qua e là, riconoscendo una sostanziale impotenza nella gestione del fenomeno. Risultato? Secondo un recente studio del Politecnico di Milano, nel decennio 1994-2004 lo Stato ha dovuto sborsare circa 21 miliardi di euro, una media di oltre 2 miliardi all’anno, senza che all’impegno abbia corrisposto un minor rischio per le aree interessate dal dissesto. Il punto è che ne servirebbe più del doppio dei fondi, ben 44 miliardi, per mettere in sicurezza tutto il territorio nazionale: 13 miliardi andrebbero destinati al Mezzogiorno e 27, a sorpresa, dovrebbero finire al Centro-Nord dove la situazione non è meno pericolosa. In più, sarebbero necessari altri 4 miliardi per il recupero e la tutela del patrimonio costiero. Anche i Comuni ieri hanno ribadito di essere pronti a fare la propria parte. «Non si può più aspettare – ha osservato il presidente di Anci Sicilia, Roberto Visentin –. Intere zone, in balia delle condizioni meteo avverse, rischiano di scomparire e numerose famiglie sono costrette ad abbandonare le loro case. Chiediamo un intervento immediato da parte del governo nazionale e della Regione Sicilia, attraverso una normativa seria che definisca in maniera certa ruoli, piani e azioni di intervento, senza aspettare che si verifichino altre tragedie».
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