giovedì 8 dicembre 2016
Parla il sindaco di Sant'Alessio in Aspromonte, 400 abitanti e 50 ospiti stranieri. "Con l'avvio del progetto Sprar, oltre ai rifugiati sono tornati anche alcuni italiani"
I ragazzi di Sant'Alessio in Aspromonte durante una cerimonia pubblica col sindaco (primo a sinistra)

I ragazzi di Sant'Alessio in Aspromonte durante una cerimonia pubblica col sindaco (primo a sinistra)

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“Favorite”, si dice a Sant’Alessio in Aspromonte. “Vuol dire: prego, si accomodi” e mentre lo dice Stefano Calabrò, sindaco del piccolo centro calabrese, 400 abitanti, non smette di sorridere. Sorride sempre mentre racconta dell’avventura intrapresa dal suo Comune negli ultimi tre anni, grazieal progetto Sprar. “In paese arrivavano saltuariamente degli egiziani, cristiani copti. Facevamo con loro e con don François, il nostro parroco, un saluto insieme a Natale. Poi è stata la volta di altri ragazzi nordafricani e curdi. Così ho detto a un mio amico medico: perché non cominciamo a conoscerli? Perché non inizi a visitarli gratuitamente, presso la sede del municipio? Da qualche anno, lavoravamo a un progetto di accoglienza mirato, dopo che nell’ultimo censimento avevamo constatato la presenza di diversi immobili sfitti sul nostro territorio. Volevamo riutilizzare quegli spazi. Così, siamo partiti”.

E mentre rinascevano alcune botteghe artigiane, mentre si riscoprivano antichi mestieri come il maniscalco, Sant’Alessio in Aspromonte cambiava fisionomia. Più cresceva il bisogno di dare ospitalità ai rifugiati che oggi sono 35 (oltre ad altre quattro famiglie di origine romena perfettamente integrate) più si strutturava l’equipe di persone che doveva occuparsi dei percorsi di integrazione: oltre all’amico medico, Calabrò ha coinvolto giovani laureati tentati dall’esodo verso Roma e successivamente riconquistati alla causa, psicologi, educatori, mediatori culturali, infermieri, volontari messi in campo nei corsi di italiano, musica e nei vari tirocini formativi.

“Ho pensato che i rifugiati dovessero sentirsi fisicamente a casa loro, nella nostra comunità. Così ho destinato una stanza del palazzo municipale all’ufficio Sprar. Gli stranieri possono entrare in municipio tranquillamente, incontrare chi vogliono e chiedere quel che serve. Noi ci siamo”. L’obiettivo è che non vivano di rendita, “ma che si rendano autonomi e indipendenti” spiega il sindaco, uno dei primi a riflettere e a ragionare, anche in ambito Anci, sulla necessità di distribuire carichi giusti di accoglienza tra i vari paesi d’Italia. “La logica degli incentivi per chi ospita e delle penalizzazioni per chi non lo fa è giusta e soprattutto non dobbiamo dimenticare la presenza di una clausola di salvaguardia che consente a chi ha già fatto la propria parte aderendo al progetto Sprar, di dire no ad altri arrivi”. Un criterio di giustizia e di responsabilità verso gli italiani che per primi hanno aperto le loro comunità. “E’ evidente che per noi piccoli Comuni, l’esodo migratorio è anche una grande opportunità di ripensamento, di rinascita, di rilancio. L’alternativa è finire annientati o, peggio ancora, considerare chi sbarca sulle nostre coste alla stregua di un pacco da scaricare”.

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