martedì 9 febbraio 2010
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L e famiglie di coloro che sono colpiti da una grave lesione cerebrale o che sono caduti in stato vegetativo sono vittime solo in seconda battuta, ma devono soppor­tare un carico di fatica e di dolore che sgo­mentano. E tuttavia non rinunciano, anche a prezzo di grandi sacrifici, a prestarsi nell’aiu­to ai loro cari. In questo anno trascorso dalla morte di Eluana Englaro hanno però ottenu­to che la società si accorgesse un po’ di loro e riflettesse su quale siano le necessità delle per­sone colpite da queste gravissime disabilità. Quel che conta, lo slancio che permette di an­dare avanti, sottolineano i rappresentanti del­le associazioni dei familiari, «è l’amore verso i propri cari». «Noi ripetiamo che anche in stato vegetativo sono persone, che hanno gli stessi diritti de­gli altri cittadini, in particolare quello di ave­re una vita con una qualità dignitosa». Paolo Fogar, presidente della Federazione naziona­le associazioni trauma cranico (Fnatc) si ri­chiama alla Carta di San Pellegrino e alla Con­venzione Onu sui diritti delle persone con di­sabilità per richiamare le richieste di assi- stenza che le famiglie ripetono. «È importan­te che quei documenti non restino enuncia­ti. Occorre lavorare perché si trovino mezzi e sostegni, non solo economici, per aiutare le fa­miglie: che non parlano di morte, ma di vita». Anche Gian Pietro Salvi, presidente della Re­te- associazioni riunite per il trauma cranico e le gravi cerebrolesioni acquisite, aggiunge: «Le famiglie sono gli eroi del quotidiano, la batta­glia è comunque lunga e logorante: se non so­no aiutate, si ammalano. È compito delle isti­tuzioni e della società non lasciarle sole». E da questo punto di vista la presenza delle asso­ciazioni che lavorano al tavolo istituito al mi­nistero della Salute per giungere a scrivere un Libro bianco dell’assistenza a queste persone è un primo passo, ma cruciale, sottolinea Ful­vio De Nigris, direttore del Centro studi ricer­ca sul coma-Gli amici di Luca onlus. «È mol­to importante anche come si comunicano le notizie relative al coma e agli stati vegetativi: occorre infatti tutelare queste persone grave­mente disabili, raccontare ciò di cui hanno bi­sogno e le strutture dedicate disponibili (che sono ancora poche). Se c’è stato un frutto del­la vicenda Englaro è proprio la reazione di tut­ti coloro che vivono questi problemi e che so­no riusciti un po’ a farsi sentire». «Da un lato – osserva Paolo Fogar – sono sta­ti fatti progressi, ma la situazione è ancora a macchia di leopardo. Accanto a Regioni, co­me Lombardia e Friuli-Venezia Giulia, che danno anche un contributo economico alle fa­miglie, i Livelli essenziali di assistenza (Lea) non prevedono la riabilitazione a lungo ter­mine per queste persone, che ne hanno biso­gno sempre per evitare spasticità. Ma i fami­liari continuano a parlare di vita e non di mor­te ». E si battono in tutte le sedi: una di queste sono le conferenze di consenso con le società scientifiche, dove vengono stilate le racco­mandazioni che devono diventare buona e ordinaria prassi medica e assistenziale. «En­tro la fine dell’anno – aggiunge Fogar – parte­ciperemo alla conferenza di consenso della Simfer (Società italiana di medicina fisica e riabilitativa) sulla buona pratica nella riabili­tazione ospedaliera delle persone con gravi cerebrolesioni acquisite. Mentre questo me­se a Siena le associazioni saranno presenti a un’altra conferenza di consenso sulla riabili­tazione cognitiva dell’adulto. Si tratta di a­spetti importanti, che toccano la vita di que­ste persone: le famiglie si battono per la vita, ma servono riabilitazione, ausili, valutazioni accurate». Questi documenti, poi, per diven­tare prassi «devono essere portate in Confe­renza Stato-Regioni». Solo così si concretizzano gli aiuti e si evita la solitudine, «la vera condanna di queste fami­glie – sottolinea Fulvio De Nigris –, che ri­schiano di sentirsi isolate dal resto della so­cietà. D’altra parte occorre anche fare molta formazione nella società, a partire dai giova­ni ». «Ci vuole amore, passione e competenza per dedicarsi a queste persone – conclude Sal­vi – ma le famiglie lo fanno per uno slancio vi­tale di amore verso i loro cari».
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