sabato 21 marzo 2015
​Lavorare, avere una casa, volersi bene. Anche per gli adulti è una sfida possibile.
La storia di Caterina e Salvatore: GUARDA LO SPOT
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Essere adulti significa diventare autonomi. Lavorare. Avere una casa. Fare la spesa e cucinare. Prendere i mezzi pubblici. Avere il controllo della propria vita. Vale per tutti e può, deve valere anche per le persone con sindrome di Down (sdD). Facile? No, difficile. Anzi impossibile, senza uno specifico percorso formativo, senza una comunità che dia loro fiducia ma garantisca anche, in caso di necessità, aiuto.  Autonomi, anche se disabili: è l’obiettivo della campagna di Coor-Down (il Coordinamento nazionale delle associazioni delle persone con sdD) per la decima Giornata mondiale della sindrome di Down che si celebra oggi, 21 marzo, data scelta non a caso. La sindrome di Down è nota anche come trisomia 21. L’essere umano ha 23 coppie di cromosomi. In chi è affetto da sdD, la ventunesima coppia possiede un cromosoma in più. Quindi: coppia numero 21, 3 cromosomi: 21 marzo.  Anche quest’anno, per la Giornata CoorDown, con l’agenzia di pubblicità Saatchi&Saatchi, ha realizzato uno spot che parla proprio della conquista dell’autonomia. E di una coppia. Caterina sta lavorando e Salvatore la raggiunge, accompagnato dai Neri per caso, il gruppo musicale salernitano che canta a cappella. Non le porta in dono un anello ma una chiave, quella della loro casa. Caterina e Salvatore sono persone Down, sono innamorati e coronano il loro sogno: vivere come ogni altra coppia in un proprio appartamento. Uno spot non facile da girare: Caterina era ignara di tutto, altrimenti non sarebbe stato possibile filmare la sua sorpresa, che è autentica, e per questo sono state usate telecamere nascoste; ma così la prima ripresa doveva essere quella buona.  Metter su casa insieme. Una cosa strana, una forzatura? No. Si tratta semplicemente di quanto previsto negli articoli 19 ('Vita indipendente e inclusione nella società') e 23 ('Rispetto del domicilio e della famiglia') della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità. I due articoli sanciscono il diritto di fondare una famiglia e di scegliere in autonomia il proprio luogo di residenza, con la stessa libertà di scelta di chiunque altro. Un processo non semplice. Caterina e Salvatore stanno seguendo da anni un percorso di autonomia abitativa. E sarebbe bello che ci fosse per davvero una comunità nella quale potessero inserirsi, persone che comunque fossero disponibili a dare una mano, con discrezione, se la coppia lo chiedesse. Nelle città nucleari, nei condomini dove a mala pena ci si guarda in faccia, dove la parola 'solidarietà' è del tutto sconosciuta, una coppia come Caterina e Salvatore potrebbe avere delle difficoltà. I due stanno partecipando a Domus, «un progetto – spiega la psicologa Stefania Mazzotti, che lo coordina – che permette a loro e alle loro famiglie sia di attivare un graduale processo di 'svincolo emotivo', sia di monitorare attraverso gli operatori quali reali esigenze possano presentare nella gestione della quotidianità».  Condizione per essere autonomi è avere un lavoro. E a questo provvedono anche onlus, associazioni e brand come Valemour, fondata da Marco Ottocento, imprenditore sociale padre di tre figli, di cui uno con sdD. Valemour ha trovato un partner come Geox, che vende scarpe dipinte a mano dai giovani con ssD di Valemour, una collezione unica e limitata in cui non c’è un pezzo uguale all’altro. La campagna di CoorDown di quest’anno non dovrebbe subire gli assurdi attacchi di quella dello scorso anno, 'Dear Futute Mom', oltre 6 milioni di contatti in poche settimane ma anche un tentativo di oscuramento in Francia: la campagna, che si rivolgeva a una mamma (reale, non immaginaria: tutto nasceva dalla vera lettera) che scopriva di essere in attesa di un figlio Down e, con il marito, doveva prendere «una difficile decisione». Giovani Down le mostravano tutte le bellissime cose che avrebbe potuto fare con suo figlio. Inaccettabile coercizione della coscienza per certi ambienti radicali francesi, per i quali abortire, in questi casi, è scelta obbligata. E guai a offrire delle alternative.

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