venerdì 6 dicembre 2019
Rapporto di Federsolidarietà: le cooperative di tipo B occupano 60mila persone, di cui 28mila soggetti svantaggiati; i settori principali sono beni culturali, turismo e riciclo materiali.
I disabili lavorano alla coop: start up per stare sul mercato
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Modello d’impresa italiano diffuso in tutto il mondo, la cooperazione sociale non è soltanto un capitolo decisivo del nostro welfare, ma anche uno dei settori più resilienti del sistema produttivo del Paese, con ampi margini di crescita e interessanti opportunità di investimento.

Secondo Confcooperative-Federsolidarietà, negli ultimi dieci anni le cooperative sociali attive sul territorio nazionale hanno investito circa un miliardo di euro, dando lavoro a 60mila persone. I dati si riferiscono a cooperative di tipo B, cioè finalizzate all’inserimento di soggetti svantaggiati, una condizione che riguarda quasi il 50% degli occupati (circa 28mila unità). Più del 70% dei posti di lavoro è a tempo indeterminato, la metà sono donne e il 10% migranti provenienti da Paesi extra europei.

Numeri presentati ieri a Roma nel corso dell’evento conclusivo di "Fuori posto. Il lavoro dove non te lo aspetti", road show in 20 tappe partito il mese scorso e organizzato da Federsolidarietà. Un’iniziativa necessaria «per far emergere ciò che fanno le cooperative sociali nel Paese – come ha chiarito il presidente, Stefano Granata –. Perché in un periodo caratterizzato da esuberi in molti settori, questi risultati hanno quasi del miracoloso. Le cooperative di tipo B hanno visto un progressivo allontanamento del mercato pubblico che negli anni ha garantito la loro crescita, ma sono state resilienti e si sono messe sul mercato facendo innovazione e aprendo nuove filiere».

Più della metà del fatturato aggregato prodotto nel 2018 dalle imprese aderenti a Federsolidarietà (1,8 miliardi) proviene da clienti privati. In dieci anni gli investimenti nel turismo e nei beni culturali sono cresciuti del 139%, quelli nell’economia circolare del 150%, in particolare nel recupero di materiali riciclabili. L’80% delle cooperative è attivo nei servizi, il 12% nell’industria e nelle costruzioni, mentre il restante 8% è impegnato in agricoltura.

Cresce anche il numero di aziende che gestisce beni e terreni confiscati alla criminalità organizzata e ogni anno nascono almeno 150 nuove start up. Senza contare che le cooperative femminili (con presenza maggioritaria di soci donne) rappresentano il 33% del totale e quelle con una donna alla guida il 30%.

Quello dell’inserimento al lavoro è un comparto in crescita e non ha bisogno di sussidi o risorse dirette, come sottolineato ancora da Granata, ma di politiche di sostegno agli investimenti in un’ottica che veda nell’inclusione lavorativa un percorso di promozione umana a beneficio della collettività, più che una modalità di assistenza.

«Voi concorrete al bene comune e alla redistribuzione della ricchezza. È molto diverso dalla ricetta economica imperante di massimizzare i profitti che arricchisce pochi – ha sottolineato Stanislao Di Piazza, sottosegretario al Lavoro –. Il governo vuole portare a paradigma ciò che fate ogni giorno per le comunità. Con alcuni parlamentari stiamo portando avanti la normativa sulle cooperative e sulle banche di comunità, le vecchie casse rurali».

«La cooperazione di tipo B rappresenta uno dei pezzi dell’Italia migliore. Si tratta di riappropriazione dei propri diritti sui temi dell’inserimento lavorativo. È un consolidamento sociale ed economico di un’Italia diversa che mette al centro la persona – ha aggiunto Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative –. L’innovazione non è solo tecnologica ma anche e soprattutto sociale. Senza è un’innovazione più povera. Diamo valore all’inserimento lavorativo. Diamo valore alle persone. Ai bisogni delle comunità. Stabilizzare le imprese e investire senza delocalizzare».

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