martedì 16 novembre 2021
Nel saggio di Andrea Covotta, direttore di Rai Quirinale, l'epopea di una generazione cresciata alla scuola della Fuci di Montini. Le morti misteriose di Moro e Mattei anticiparono la fine di un'epoca
I costruttori di equilibri politici archiviati dal leaderismo degli algoritmi
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Sostituiti dagli inseguitori di algoritmi finalizzati a reclutare consensi, non ci sono più I costruttori di equilibri politici di una volta. È questo il titolo di un saggio, agile e denso, di Andrea Covotta, uscito per le edizioni La Bussola. Un’analisi cruda e realistica di quel che siamo stati e di quel che siamo diventati che traspare sin dal sottotitolo: dalla Repubblica dei partiti a quella dei leader.
In nome della celebre frase di Winston Churchill («Il politico diventa uomo di stato quando inizia a pensare alle prossime generazioni invece che guardare alle prossime elezioni») Covotta, direttore di Rai Quirinale, ricostruisce la "visione" che anima la nostra Costituzione e le strategie politiche dei primi decenni della Repubblica, con l’intento di fornire ai giovani che quella nobile stagione non l’hanno conosciuta, dei modelli per chiedere di più e di meglio ai leader attuali, l’un contro l’altro armati sui social, tenuti insieme a fatica dai dettami di una democrazia parlamentare - nemica giurata del populismo che caratterizza l’odierna comunicazione politica - proprio in forza di quella Costituzione, sconosciuta ai più, ma tuttora vigente.
Un giorno, nel racconto della figlia Maria Romana, un Alcide De Gasperi agli albori della sua carriera politica, reagì infastidito al gesto di alcuni esagitati sostenitori che, per strappargli un saluto, picchiavano le mani sul finestrino dell’auto: «Ora comprendo Mussolini, è difficile capire se lo fanno perché sei il capo o perché hai fatto qualcosa di buono», commentò sconcertato lo statista trentino quella scena che manderebbe, viceversa, in estasi i politici contemporanei. Ed è impossibile separare questa impostazione refrattaria al compiacimento leaderistico tipico di un’intera generazione di politici cattolici - i Moro, i Dossetti, i La Pira, tutti usciti dalla Fuci - dalle letture e dalla formazione che li accomunava, all’assistente spirituale dell’associazione, monsignor Giovan Battista Montini, il futuro Paolo VI. Avendo come obiettivo realizzare «qualcosa di buono», la perenne preoccupazione di questi politici anti-leader cresciuti alla scuola di Maritain e Bernanos, invece di marcare le differenze a fini di consenso, fu quella di sorreggere con "equilibri politici" adeguati le idee ritenute più valide, finalizzate a ricostruire un tessuto economico e sociale ridotto ai minimi termini dalla guerra e dal leaderismo che l’aveva generata.
Il piano Marshall ottenuto dagli Usa, De Gasperi non pensò mai di gestirlo in solitudine, anche quando i numeri avrebbero consentito alla Dc di fare da sola, dopo il trionfo elettorale del 1948. Se Montini fu il referente ecclesiale di quella stagione di ricostruzione, Enrico Mattei lo fu, con la fondazione dell’Eni, in campo economico. Una morte, la sua, avvolta nel mistero e negli intrighi internazionali come accadrà anche ad Aldo Moro, vero protagonista della politica dei seguenti due decenni. Dopo esser stato grande costituente, divenne padre del centrosinistra, interprete preoccupato dei "tempi nuovi" della Contestazione e infine vittima più illustre degli anni di piombo. Poi toccò lo stesso destino a Vittorio Bachelet. Ma il vicepresidente del Csm, e presidente dell’Azione cattolica, aveva già indicato ai suoi familiari la strada maestra, se fosse toccato a lui: la riconciliazione, il perdono e l’unità delle istituzioni democratiche campeggiano insieme nella splendida preghiera dei fedeli, richiamata da Covotta, di Giovanni Bachelet ai funerali del padre, che segna simbolicamente il passaggio agli anni ’80: dare la propria vita per dei valori più grandi, al tempo stesso civili e religiosi. Farsi piccoli perché rifulga qualcosa di più grande. La lezione che la politica dei laeder fatica a comprendere. Ma, abbandonata la nobile arte della ricerca degli equilibri politici, il risultato - sotto gli occhi di tutti - è quello di una lunga stagione di riforme altrettano lungamente interrotta. In nome di una politica delle parole e delle promesse non mantenute.

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