venerdì 5 marzo 2021
La norma venne approvata il 7 marzo 1996. Nel dossier di Libera le storie di 867 buone prassi in 17 regioni. Ma ancora il 50% resta inutilizzato
I 25 anni della legge sull'utilizzo a fini sociali dei beni confiscati
COMMENTA E CONDIVIDI

C’è una bella Italia che combatte le mafie con concrete esperienze di riscatto e rinascita. Sono le 867 realtà, associazioni, cooperative, diocesi, parrocchie, che gestiscono beni confiscati alle mafie. Sono il più bel risultato della legge 109 del 1996 che domenica 7 marzo compie 25 anni. Una legge nata dopo la stagione della stragi mafiose del 1992-93, presentata nel 1994 da Giuseppe Di Lello, ex componente del pool antimafia di Falcone e Borsellino, e fortemente sostenuta dall’associazione Libera che raccolse e inviò al Parlamento ben un milione di firme a sostegno di una legge che introduceva l’uso a fini sociali dei beni tolti alle mafie, un fondamentale passo in avanti dopo la legge Rognoni-La Torre del 1982 che prevedeva la confisca di tali beni. Da allora sono più di 36mila i beni immobili confiscati, il 48% sono stati destinati dall’Agenzia nazionale (Anbsc) per le finalità istituzionali e sociali, ma ben 5 beni su 10 rimangono ancora da destinare. Il maggior numero di beni immobili confiscati e destinati sono in Sicilia (6.906), segue la Calabria (2.908), la Campania(2.747), la Puglia (1.535) e la Lombardia (1.242). Sono invece 4.384 le aziende confiscate e di queste il 34% è stato già destinato alla vendita o alla liquidazione, all’affitto o alla gestione da parte di cooperative formate dai lavoratori delle stesse; il 66% è ancora in gestione presso l’Anbsc. Anche qui la Sicilia è prima con 533 aziende destinate, segue la Campania (283), la Calabria (204) e il Lazio (160). Sono i dati del dossier Fattiperbene realizzato la Libera in occasione dei 25 anni della legge. Nel dossier Libera ha mappato le esperienze di riutilizzo dei beni confiscati per finalità sociali “per raccontare una nuova Italia, che si è trasformata nel segno evidente di una comunità alternativa a quelle mafiose, che immagina e realizza un nuovo modello di sviluppo territoriale”.

Gli 867 soggetti del terzo settore impegnati nella gestione di beni immobili confiscati alla criminalità organizzata, ottenuti in concessione dagli enti locali, si trovano in ben 17 regioni su 20, a conferma della pervasività delle mafie. Più della metà delle realtà sociali è costituito da associazioni di diversa tipologia (468) mentre le cooperative sociali sono 189. Tra gli altri soggetti gestori del terzo settore, ci sono 11 associazioni sportive dilettantistiche, 23 soggetti del terzo settore che gestiscono servizi di welfare sussidiario in convenzione con enti pubblici (tra cui aziende sanitarie, enti parco e consorzi di Comuni) , 36 associazioni temporanee di scopo o reti di associazioni, 70 realtà del mondo religioso (diocesi, parrocchie e Caritas), 26 fondazioni, 14 gruppi scout e 6 istituti scolastici di diversi ordini e gradi. La regione con il maggior numero di realtà sociali che gestiscono beni confiscati alle mafie è la Sicilia con 218 soggetti gestori, segue la Calabria con 147 , la Campania con 135 e la Lombardia con 133. Storie non facili. Mediamente nel campione del censimento di Libera tra il sequestro e l’effettivo riutilizzo sociale trascorrono ben 10 anni. E questo provoca degrado e altre conseguenze negative dei beni.

Una legge che, comunque, funziona ma che ha bisogno di alcuni interventi per migliorarne l’efficacia. Per questo Libera chiede l’effettiva estensione ai corrotti delle norme su sequestri e confische previste per gli appartenenti alle mafie, con la loro equiparazione e l’attuazione della riforma del codice antimafia nelle sue positive innovazioni. Era già previsto nella proposta di legge di 25 anni fa, ma poi il Parlamento la escluse. Libera chiede, inoltre, l’assegnazione di adeguati strumenti e risorse agli uffici giudiziari competenti e all’Agenzia nazionale in tutto il procedimento di amministrazione dei beni, prevedendo il raccordo fra la fase del sequestro e della confisca fino alla destinazione finale del bene e assicurando il necessario supporto agli enti locali. E ancora la piena accessibilità delle informazioni sui beni sequestrati e confiscati e la promozione di percorsi di progettazione partecipata del terzo settore e di monitoraggio civico dei cittadini. Inoltre la destinazione di una quota del Fondo Unico Giustizia, delle liquidità e dei capitali confiscati ai mafiosi e ai corrotti, per rendere fruibili i beni mobili e immobili e sostenere la continuità delle attività aziendali, tutelandone i lavoratori, nonché per dare supporto a progetti di imprenditorialità giovanile, di economia e inclusione sociale. Infine l’utilizzo delle risorse previste per la valorizzazione sociale dei beni confiscati nella proposta di Piano nazionale di ripresa e resilienza Next Generation Eu, assicurando un percorso di trasparenza e di partecipazione civica nella progettazione e nel monitoraggio.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: