venerdì 24 febbraio 2012
Le compagnie: troppi rischi. «È ingiusto». Le compagnie di assicurazione negano la polizza per il figlio. L’Ania: l’esclusione è legale.
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​Alessandro può lavorare come meccanico delle biciclette, giocare a pallone e andare al cinema con gli amici. Può, insomma, fare ciò che fanno i suoi coetanei trentenni. Però, se si ammala o deve sottoporsi a un intervento chirurgico, non ha diritto al rimborso delle spese mediche, perché, finora, nessuna compagnia di assicurazione lo ha accettato come cliente. Il motivo? Alessandro è un malato di mente e, per stare bene, assume psicofarmaci.«Come amministratore di sostegno di mio figlio – racconta il padre Fabrizio Ceriani Sebregondi – mi sono presentato da diverse compagnie per stipulare una polizza. Quando ho esplicitato i suoi problemi, tutte le porte si sono immediatamente chiuse. Lo stigma sociale verso queste persone è ancora troppo forte. È come se avessi detto che Alessandro ha la lebbra. Ma la sua condizione è comune ad almeno il 4-5% della popolazione italiana. Parliamo di 2-3 milioni di cittadini ai quali è negato il diritto di assicurarsi contro gli infortuni o per ottenere il rimborso delle spese mediche. Non credo sia legale tutto ciò».La battaglia di questo genitore milanese, che assiste anche la moglie colpita dalla medesima malattia del figlio, va avanti da circa quattro anni. Nel giugno 2008 ha cercato di stipulare un contratto sia con le Assicurazioni Generali che con Allianz, ma è stato respinto da entrambe le compagnie. Per il Servizio commerciale delle Generali, «la condizione patologica» di Alessandro è «di ostacolo alla positiva conclusione di qualsiasi iter di richiesta». Secondo Allianz, «tali patologie possono esporre i soggetti che ne sono affetti a rischi più significativi rispetto alla generalità della clientela a causa di problemi legati alla specifica patologia, per complicanze legate alle cure cui devono sottoporsi o per il fatto che, soggetti affetti da patologie mentali e/o che assumono psicofarmaci, possono percepire i rischi della vita quotidiana con modalità alterate».Una giustificazione che non soddisfa Fabrizio Ceriani Sebregondi, che, in questi giorni, ha inviato una petizione al presidente della Repubblica e ai ministri del Lavoro Fornero e dello Sviluppo economico Passera. L’esposto è sottoscritto anche da Unasam (Unione nazionale delle associazioni per la salute mentale), Progetto Itaca onlus-Associazione volontari per la salute mentale, Società italiana di psichiatria, Società italiana di psichiatria biologica, Associazione difesa ammalati psichiatrici gravi e Oltre noi la vita onlus. Ceriani Sebregondi ha inoltre inviato un esposto all’Isvap, l’Istituto di vigilanza sulle assicurazioni. «Mi hanno convocato a Roma all’Ufficio legale – spiega – confermandomi verbalmente l’illegittimità delle esclusioni, senza però mettere nulla per iscritto. E nei confronti delle compagnie, finora non è stato preso alcun provvedimento».Il papà di Alessandro, replica anche alle giustificazioni addotte da Generali e Allianz: «Poiché i malati di mente non sono mai stati assicurabili – commenta – non esiste statistica sull’andamento di questi rischi. Affermare quindi che queste persone sono soggette a maggiore sinistrosità è privo di qualsiasi fondamento tecnico assicurativo. Anche dal punto di vista scientifico – aggiunge – non vi è evidenza che queste persone siano maggiormente soggette a infortuni e, ancor meno, a malattie».La posizione delle due compagnie assicuratrici è confermata dall’Ania, l’associazione di categoria. «Il settore – ribadisce Roberto Manzato, direttore “Vita e danni non auto” – ha tutto l’interesse ad ampliare la platea di assicurati. In questo caso, però, siamo in presenza di persone che hanno una maggiore propensione all’infortunio, proprio a causa della loro condizione di salute. L’esclusione, che è perfettamente legale, avviene comunque soltanto in presenza di patologie molto gravi. Parliamo di soggetti che hanno perso la capacità di intendere e volere, non sono in grado di avere un comportamento autonomo e di badare a sé stessi. Questo – conclude Manzato – non significa che non ci stiamo impegnando, anche attraverso un confronto con le associazioni che rappresentano queste categorie, affinché sia possibile studiare soluzioni assicurative che vadano incontro anche alle loro specifiche esigenze».La legittimità del comportamento delle compagnie è confermata da Pietro Giordano, segretario vicario di Adiconsum: «Non essendo, quella per infortunio o rimborso spese mediche, un’assicurazione obbligatoria, le compagnie possono liberamente decidere chi assicurare e chi no. In questo caso, siamo comunque senz’altro in presenza di un eccesso di autotutela da parete delle società di assicurazione, che dovrebbero fare uno sforzo ulteriore per creare maggiori spazi di mutualità e tutela sociale. Sarebbe davvero un bell’esempio di imprenditorialità attenta al sociale».
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