martedì 13 maggio 2014
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Al di là dell’entità della somma, si tratterebbe di un passaggio culturale di portata storica, perché per la prima volta si individuerebbe l’impresa sociale come vincolo di sviluppo per il Paese e la sua economia». Stefano Granata, presidente di Cgm, la più grande rete italiana di imprese sociali e realtà non profit, usa il condizionale in attesa di conoscere nel dettaglio il piano da 1,5 miliardi che il governo è pronto a destinare al sociale. Ma, intanto, Granata promuove la strategia studiata dall’esecutivo: «Guardiamo ai recenti fatti di questi giorni, e mi riferisco in particolare al caso Expo e agli arresti conseguenti alle indagini della magistratura. Non c’è risposta migliore alla corruzione e alla speculazione, se non quella di dare risorse a un modello economico sano e sostenibile».Presidente, si ipotizza un tesoretto da 500 milioni per le imprese sociali. Lo ritiene sufficiente?Assolutamente sì. Parliamo di una cifra sostanziosa, considerando anche il momento economico attuale e i pochi soldi presenti nelle casse dello Stato. Mi auguro soltanto che questo investimento non finisca nei meandri di un sistema distributivo del Terzo settore, ma vada a valorizzare davvero coloro che intendano puntare in modo strutturale (e non occasionale) sulle opportunità di crescita: export e posti di lavoro in primis.Quali sono i rischi principali da evitare per non sprecare questa ghiotta opportunità?Tutti, a partire dalla politica, devono capire che siamo di fronte a un’occasione d’oro. Dunque è importante anzitutto "certificare" il Terzo settore vero, cioè quello che risponde realmente alla sua originaria vocazione sociale sia in termini di processo sia di risultato. Altrimenti si aprirebbe una finestra in cui tutti (anche coloro che non c’entrano nulla con questo mondo) si butterebbero dentro con l’unica finalità di accedere ai fondi. Facciamo in modo che, in questo caso, gli estranei non salgano sul carrozzone.A chi dovrebbe essere affidata la gestione dei fondi?In passato c’era la famosa Agenzia per il Terzo settore. Poi è stata chiusa e ora potrebbe essere sostituita con un’authority. In generale, comunque, va trovato certamente un ente non governativo. Il punto centrale, però, è un altro. Questa struttura avrà un ruolo fondamentale: perché non deve effettuare una semplice rendicontazione, ma essere in grado di monitorare nel tempo tutti i singoli passaggi.Servono anche interventi normativi? La legge sull’impresa sociale che vede il sottosegretario al ministero del Lavoro Luigi Bobba tra i primi firmatari può essere utile?Certamente sì. Se si istituisce un fondo, l’impresa sociale deve avere gambe e braccia per potersi muovere. Altrimenti è tutto inutile. Servono capacità attuative e va garantito l’accesso alla governance dei nuovi soggetti. La normativa in questione prevede pure la possibilità di remunerare il capitale – in misura limitata e non speculativa – per attirare nuovi investitori. Questo aspetto non va sottovalutato.Oltre ai provvedimenti, quali altre scelte potrebbero favorire la crescita del Non profit?Bisognerebbe mettere mano finalmente al Fisco. Aprire un’impresa sociale oggi non è conveniente rispetto a una cooperativa. Non si pretendono agevolazioni di nessun tipo, per carità. Ma almeno un riconoscimento, a chi opera quotidianamente in settori così strategici per la vita e il benessere dei cittadini e lo sviluppo del Paese, credo che andrebbe dato.
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