domenica 20 dicembre 2020
Il premier prima del vertice ha chiesto un faccia a faccia solo con Renzi: «Mai detto che sei caccia di poltrone». Il Pd propone cronoprogramma e chiede al leader di Iv di entrare nell'esecutivo
Il premier Conte con il ministro dell'Economia Gualtieri

Il premier Conte con il ministro dell'Economia Gualtieri - Ansa

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La verifica fa i conti col fattore tempo. Le mole delle questioni messe sul tavolo da Italia Viva rischia di condannare l’esecutivo a vivacchiare a lungo, ma è proprio quel che nessuno dice di volere. «Aspettiamo la risposta. Di certo dovrà essere all’altezza delle questioni poste. Altrimenti verrebbe meno il senso del mio e del nostro stare al governo», insiste Teresa Bellanova. Ormai è chiaro a tutti che occorre cambiare registro. Il primo ad averlo capito è Giuseppe Conte. Decisivo è un particolare che trapela dal vertice con Italia viva di giovedì a Palazzo Chigi. Preceduto, si viene a sapere, da un breve faccia a faccia con Renzi chiesto con insistenza dal premier prima del colloquio. Per poter escludere di aver mai parlato di pretesa di «poltrone» da parte di un piccolo partito, la frase che ha avvelenato i pozzi. È difficile che il leader di Iv gli abbia creduto, ma è stata comunque l’occasione per lui per affermare con chiarezza che non è questione di poltrone o strapuntini, e dunque o si instaura una collegialità sui temi in esame (Recovery, Mes, intelligence) o la rottura sarà inevitabile.
Da lì riparte la discussione. Non si tratta neanche di mettere in fila i temi col rischio di impantanarsi, ma di indicare un metodo e un organigramma per uscirne fuori insieme. E allora ecco che – soprattutto dal Pd – si avanza da qualche giorno la soluzione: una sorta di esecutivo dei leader. Uno schema che vedrebbe Luigi Di Maio dirottato a un incarico di peso e più connotato politicamente, e l’ingresso di Matteo Renzi con un ruolo prestigioso, che potrebbe essere proprio quello di ministro degli Esteri. È chiaro che anche il Pd dovrebbe a quel punto investire nel governo uno dei suoi massimi dirigenti. Ma – al momento – Renzi ha gioco facile a rifiutare questa prospettiva per sé potendo contare sul fatto che analogamente il segretario del Pd ha sempre detto di non essere interessato a entrare al governo, avendo già la responsabilità di governatore del Lazio. Potrebbe toccare allora, per Iv, a Maria Elena Boschi, e per il Pd al vice Andrea Orlando, ma non è altrettanto scontato, in tal caso, che Dario Franceschini sia disposto a cedere il ruolo di capo–delegazione. Un puzzle, come si vede, ancora complicato, ma è ormai chiaro a tutti che un esito positivo della trattativa non potrà che portare a una soluzione del genere. Lo stesso Conte sarebbe interessato, per evitare il pantano. Ma il nodo è tutto nei tempi. In quel «cronoprogramma» di cui parla proprio Zingaretti, che invita il premier ad accelerare sul Recovery, impresa che diventa titanica se l’esecutivo non assumerà una vera unità di intenti.
Non è un mistero la preoccupazione con cui Sergio Mattarella, che ha sentito nei giorni scorsi tutti i leader della coalizione, segue l’allungamento dei tempi di una verifica che aveva lui stesso sollecitato, invitandoli al senso di responsabilità. Al momento sul Colle non si lavora a un “piano B” diverso da un rovinoso ritorno al voto. L’ipotesi Draghi di cui tanto si parla continua a scontrarsi con l’indisponibilità dell’interessato e lo stesso Mattarella non ha certo intenzione di lanciare in avventure una personalità che rappresenta una risorsa per la Ue. A nessuno sfugge l’attivismo di Giancarlo Giorgetti a correggere l’isolamento internazionale di Matteo Salvini. Se la Lega cambia atteggiamento con la Ue è un elemento nuovo importante, in vista di scenari futuri. Ma al momento è impraticabile l’ipotesi di un esecutivo guidato dall’ex presidente della Bce che veda come promotore un partito sovranista che sposa dottrine anti–euro. E questo lo sa anche Renzi.

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