venerdì 29 marzo 2013
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È tesissimo Pier Luigi Bersani. Più di un’ora nello studio di Giorgio Napolitano a fare il punto della situazione catastrofica che non consente alla coalizione che ha vinto le elezioni di governare. Il capo dello Stato glielo ripete con l’amicizia di sempre, ma anche con la determinazione di chi lo aveva avvisato: senza voti non si parte. E il presidente incaricato è tornato sconfitto al Quirinale: i voti non ci sono. Né è in grado di garantire un governo autosufficiente, grazie alla tattica che consentirebbe di respirare in Senato tra uscite dall’aula e assenze strategiche. Lo scouting non ha funzionato. Soprattutto nel campo grillino. Perché nel centrodestra qualcosa si sarebbe anche mosso, ma il prezzo da pagare per il leader pd è troppo alto. Soprattutto la spaccatura del partito, dove resiste uno zoccolo duro contrario a scendere a patti con Berlusconi. Ma il presidente incaricato non vuole ancora mollare. E non rinuncia. Napolitano ascolta nervoso. Sapeva che sarebbe stato difficile e si rammarica di aver avuto ragione. Il capo dello Stato avrebbe puntato subito a una soluzione di salvezza nazionale, mentre ora molte strade sono state precluse o rese più accidentate ancora. A cominciare da un nuovo governo tecnico. Tutto ha congiurato contro questa soluzione. Bersani fa presente la voglia di un esecutivo politico riscontrata nelle sue consultazioni. Anche tra le parti sociali. Il leader pd si è preso un tempo lungo per sentire le opinioni più diffuse e altrettanto tempo ci vuole per farne un resoconto al presidente della Repubblica. Eppure sarebbe proprio il Pd, in caso di fallimento di Bersani, a dover puntare su una soluzione "terza", un Saccomanni o un Amato. «Ho riferito al presidente dell’esito del lavoro di questi giorni, delle consultazioni che non hanno portato a un esito risolutivo», spiega dopo un’ora e un quarto il segretario davanti alle telecamere. «Ho illustrato gli elementi anche positivi» che sono venuti attorno ad alcune proposte, «ho descritto anche le difficoltà che sono derivate dalle preclusioni e da condizioni che io non ho ritenuto accettabili». Proprio su queste insiste Bersani nello Studio alla Vetrata. Il riferimento è alla candidatura di Silvio Berlusconi o Gianni Letta al Quirinale. Il capo dello Stato è perplesso rispetto agli aut aut riferiti che verrebbero dal Pdl. E ascolta preoccupato anche quelli che in risposta avanza il segretario democratico: «Se loro insistono, noi il presidente della Repubblica possiamo anche eleggercelo da soli». E allora, di fronte allo stallo ancora peggiore di quello precedente all’incarico, Napolitano comprende bene che è inutile accordare a Bersani altro tempo. Il leader pd tenta di ottenerlo, forte ancora della sua proposta innovativa e della linea del doppio binario, che trova concorde il Quirinale. Ma i margini per superare gli ostacoli da parte del leader pd non ci sono, secondo il Colle. E allora Napolitano congela il pre-incarico e riprende in mano la situazione, malgrado le resistenze bersaniane. Se davvero i margini che il segretario vede ci sono, sarà lo stesso Napolitano a verificarlo.

Ufficialmente per il Pd «il presidente della Repubblica prende lui in mano la situazione e si prenderà un po’ di tempo per «iniziative che gli consentano di accertare personalmente gli sviluppi del quadro politico-istituzionale». Ma alla fine saranno proprio i Democratici a dover cedere, se la soluzione sarà un governo del presidente. E anche Bersani dovrà cedere. Perché il partito è spaccato, diviso tra chi non vuole tornare al governo con il Pdl berlusconiano (cosa che sancirebbe la spaccatura con Sel), chi non vede altra soluzione, dopo un risultato elettorale che vede quasi pari in termini assoluti i due grandi avversari.

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